Il grande regista francese scomparso il 13 settembre amava lo sport: ovviamente a suo modo. Ecco due passi di una lunga intervista a L’Equipe in cui parla di tennis, tradotta da «Slalom»
Jean-Luc Godard, che è morto ieri in Svizzera, è stato un regista rivoluzionario, il capostipite della nouvelle vague francese che ha cambiato il modo di concepire il cinema. E amava lo sport, lo praticava lo osservava, lo criticava. «Liberation» ha ricordato che anche la tennista francese Catherine Tanvier fu coinvolta nelle riprese di «Film Socialisme», una pellicola girata da Godard fra il 2007 e il 2010. «Nel 2007 – racconta la ex n.20 Wta – alla fine del tour promozionale del mio libro Downgraded il mio editore, Marc Grinsztajn, mi dice: ‘A proposito, ha chiamato Jean-Luc Godard. Vuole incontrarti’. E io : ‘Pardon?” So che Jean-Luc Godard è appassionato di tennis, ma beh… chiedo perché. Lui : ‘Ah, quello, è lui che te lo dirà’. Qualche tempo dopo, Jean-Paul Battaggia, il braccio destro di Godard, mi contattò e fu lui a organizzare l’incontro, a casa sua a Parigi (…) Il 3 dicembre, il compleanno di Jean-Luc Godard, sono terribilmente colpita, soprattutto perché c’è una macchina da presa, e io non sono mai a mio agio davanti ad una telecamera. Ma noto che anche Jean-Luc lo è, in effetti: siamo due persone molto timide. Fortunatamente, molto rapidamente, iniziamo a parlare di tennis e la conversazione diventa del tutto naturale. Ho a che fare con una persona che conosce tutta la storia del tennis, è francamente impressionante. Parla dei grandi giocatori del suo tempo come Arthur Ashe e Ken Rosewall, si stupisce del fatto che il ceco Tomás Berdych non sia tra i primi tre del mondo, è anche molto interessato alla tecnica. La conversazione dura un’ora e mezza e dopo un po’ mi chiedo cosa ci faccio qui. È stato allora che Jean-Luc mi ha accennato all’idea di utilizzarmi nel suo prossimo film. Io obietto che non sono un’attrice. Lui risponde con un piccolo sorriso: ‘Ma chi ti chiede di recitare? Sii te stessa’. E fu così che mi ritrovai sul set della seconda parte di «Film Socialisme», che si svolse a casa sua, a Rolle, per diciassette giorni».
In quell’occasione la Tanvier scoprì non solo che Godard conosceva il tennis, ma amava anche praticarlo: «Quando non era ispirato, il suo braccio destro mi chiamava al telefono per chiedermi se mi andava bene giocare a tennis e Jean-Luc veniva a prendermi in albergo. Arrivava con la sua vecchia auto piena di cenere di sigaro e andavamo a giocare a dieci minuti di distanza, in un campo coperto di un club super elegante perso tra due vigne. Prima facevamo sempre una buona merenda, una torta di fragole, spesso con la sua compagna Anne-Marie Miéville. Lui giocava in maglietta e pantaloni eleganti, con il sigaro spento in tasca. Io ovviamente ero attenta, giocavo a una velocità che gli permetteva di restituire la palla (Godard aveva allora 77 anni, ndr) ma lui, il ragazzo, faceva di tutto per aggirarmi… Abbiamo giocato tre o quattro volte durante le riprese, è stato squisito.».
L’Equipe in occasione della sua scomparsa ha ripubblicato una sua lunga e molto interessante intervista di qualche anno fa. Ve ne riproponiamo qui due brevi passi tratti dalla traduzione integrale che ne ha fatto la sempre puntuale e completissima rassegna stampa on-line Slalom. Il link per leggerla tutta è questo (bisogna abbonarsi, ma ne vale la pena).
Godard, lo sport per lei è un vecchio amore?
«Ne ho praticato molto durante l’adolescenza. Mi sono allenato in modo naturale, non trovavo grosse differenze tra corsa, calcio o sci. Mi piaceva fare tutto. Il tennis è un amore ancora più antico. Dev’essere un’eredità di mia madre. Leggevo le cronache su L’Ilustration. Dopo ci siamo trasferiti a Parigi, mi sono iscritto allo Stade Français, sezione basket, ma ho subito capito che era un altro mondo, che per brillare bisognava fare solo quello. Ci ho rinunciato. Da quindici anni ho ripreso a fare sport, per me stesso, per la mia salute. Sono tornato al tennis. Ho anche iniziato a guardarlo di nuovo con più attenzione. McEnroe e Mecir mi sono sempre piaciuti molto. Mi è piaciuto anche Jim Courier. Come rimproverargli di leggere un libro al cambio di campo? Sampras, sì, bravo, ma preferisco Pancho Gonzales. Mi piace anche il ciclismo, il calcio meno, mi piace l’atletica. Non la Formula 1».
Sullo sport in tv:
Non appena sono lontani dall’azione, i cameraman si annoiano, quindi ingrandiscono e si avvicinano. Non appena si avvicinano, si annoiano di nuovo, quindi riducono e si allontanano. La mia peggior nemica è Françoise Boulin, la regista televisiva del Roland-Garros! È nella sua sala di controllo, davanti a dodici schermi che non è nemmeno andata a comprare, e si destreggia da fare schifo! Cosa vuoi cogliere davanti a dodici schermi? Non vedi un’immagine, la offuschi. E poi c’è il commento».
Cos’è che non va nel commento?
«Tutti i guai vengono da lì. Immaginate che al Roland-Garros la voce di Jean-Paul Loth esca dagli altoparlanti sparpagliati per lo stadio, durante gli scambi. Se il telespettatore sopporta ciò che il pubblico allo stadio non sosterrebbe, è perché l’immagine della partita è talmente assente, da doverle restituire una parvenza di presenza. Devi doparla. Il commento che sostituisce il tempo reale celebra il lutto dei corpi al lavoro. Il corpo è l’immagine, un’immagine muta, come una tomba. Il commentatore è il suo profanatore. Ci vieta di vivere la nostra libertà di spettatore, per quanto già ridotta».