Gli infortuni di tanti big della racchetta hanno giocato un brutto scherzo al Western & Southern Open di Cincinnati: era da tredici anni (Madrid 2004) che un Masters 1000 non aveva solamente quattro top ten al via. Ne ha avuti di più l’ATP 250 di Brisbane a inizio anno. Gli organizzatori non possono far altro che incassare il colpo, e sperare almeno in Rafael Nadal.Prima il gomito Novak Djokovic, poi il ginocchio Stan Wawrinka, quindi l’adduttore del campione in carica Marin Cilic e l’anca di Andy Murray, e infine la schiena di Roger Federer e il polso di Kei Nishikori. Sei problemi diversi ma che si sono abbattuti come un tornado sullo stesso torneo, il Masters 1000 di Cincinnati, costretto a strappare rapidamente all’appuntamento “gemello” di Montreal il poco ambito premio di torneo dei forfait. Uno via l’altro hanno detto tutti addio al cemento Western & Southern Open, chi con grande anticipo perché nel 2017 non giocherà più, chi alla vigilia e chi a tabellone compilato, o addirittura dopo aver sospeso a metà un allenamento a torneo iniziato, come nel caso del giapponese di cristallo. Con buona pace dell’obbligatorietà dei Masters 1000, che riguarda tutti i tornei eccetto quello di Monte Carlo ma di fatto ha effetti soltanto sul ranking ATP (e nemmeno per tutti), sei dei primi dieci del mondo hanno preferito rinunciare, regalando all’appuntamento dell’Ohio un triste primato statistico. Come informa BranchStats, era addirittura dal Masters 1000 di Madrid del 2004, quando ancora si giocava a fine stagione e sul veloce al coperto, che uno dei nove tornei appena inferiori agli Slam non si trovava con solamente quattro top-10 in gara. Tredici anni fa in Spagna furono Tim Henman, Andre Agassi, Marat Safin (che vinse il torneo) e David Nalbandian, mentre stavolta ci sono solamente Rafael Nadal, Dominic Thiem, Alexander Zverev e Milos Raonic. Il passaggio di “Rafa” a numero uno del mondo, che si concretizzerà solo al termine del torneo, ha aggiunto un motivo di interesse in più, ma per un Masters 1000 capace di mettere in paio oltre cinque milioni di dollari di montepremi la presenza di soli 4 top-10 resta un risultato davvero misero. Basti pensare che ne ha avuti lo stesso numero l’ATP 500 di Washington di due settimane fa, e addirittura uno in più l’ATP 250 di Brisbane, nella prima settimana dell’anno.
GLI ORGANIZZATORI SPERANO IN “RAFA”
Gli organizzatori del combined americano tirano un sospiro di sollievo se guardano al tabellone femminile, che può contare sulle prime 14 giocatrici della classifica WTA, anche se non è tutto ora ciò che luccica. Infatti, le due tenniste capaci di attirare di più le attenzione di pubblico e sponsor, ovvero Serena Williams e Maria Sharapova, non sono al via, e – lo dicono i numeri, non le sensazioni – nell’economia di un combined la parte femminile non è ancora all’altezza di quella maschile. Qualche settimana fa, parlando della crisi del suo ATP 500 di Amburgo, il direttore del torneo Michael Stich si era avventurato in una riflessione secondo la quale un torneo con la storia di quello tedesco potesse vivere di luce propria, indipendentemente dal livello dei protagonisti o dalle assenza di spessore. Per Amburgo il discorso era un po’ forzato, visto che dopo le finali Federer-Nadal degli anni d’oro si sono trovati di colpo declassati ad ATP 500 e senza nemmeno un top-20, ma per un Masters 1000 la questione può reggere un tantino di più. Tuttavia, nel valutare la qualità di un torneo il campo di partecipazione è sempre determinante, e sarà curioso analizzare a fine torneo quanto l’assenza di quasi tutti i migliori del mondo abbia influito sia sull’audience televisivo del torneo negli Stati Uniti, sia sulla vendita dei biglietti. Il fatto che si tenda sempre di più ad acquistarli in anticipo potrebbe dare una mano agli organizzatori, ma un calo sarà inevitabile. Correre ai ripari è impossibile, e gli organizzatori – guidati dal 2016 da Andre Silva, che in precedenza ha lavorato a lungo per l’ATP e poi per l’agenzia Team8 di Roger Federer e del suo agente Tony Godsick – non ci possono fare nulla, se non augurarsi che almeno i pochi big in gara riescano ad arrivare in fondo. È già tutto, o quasi, nelle mani di Rafael Nadal.