Addio a Roberto Mazzanti, il giornalista bolognese che è stato fra i fondatori di Match Ball e storico cronista del nostro tennis

Un giornalista non dovrebbe mai abusare della prima persona, ma temo che per me sia impossibile non farlo, nel ricordare Roberto Mazzanti, mancato due giorni fa a Bologna a 82 anni.

Roberto è stato prima fondatore, insieme a Paolo Francia, poi direttore e anima di Match Ball, la rivista di tennis su cui ho iniziato a scrivere nel 1986. Io e Enrico Schiavina per dieci, meravigliosi anni siamo stati i suoi ragazzi di bottega, i «matchball boys,» in una redazione di cui erano parte fondamentale anche Marina Natali, Angelo Tonelli e Viviano Vespignani. Una firma storica, importante, del tennis in Italia.

Senza Roberto né io né Enrico saremmo diventati professionisti; è stato lui, che aveva esordito come correttore di bozze scalando poi i gradini della professione sino a diventare redattore e inviato prezioso in tanti servizi, dalla ‘bianca’ allo sport, dall’economia ai motori, la sua altra grande passione professionale, per Il Resto del Carlino, a volere la nostra assunzione.

Roberto giocava molto bene a tennis; ne conosceva e amava lo spirito, i retroscena, gli umori. Aveva seguito l’epopea della grande squadra azzurra di Coppa Davis a cavallo fra anni ’70 e ’80 con il suo stile sobrio ma puntuale, equilibrato e ironico, competente e appassionato. Tutti aggettivi che si adattano bene anche al suo carattere e al suo stile, che lo hanno sempre reso popolare fra i colleghi. Amava il grande tennis, i campioni dal cervello rapido e dal braccio d’oro, ma ci ha sempre insegnato ad interessarci anche ai problemi e alle dinamiche dei circoli, dei maestri, dei giocatori di livello più basso, perché quello è l’humus del tennis.

Quando arrivava in redazione, impeccabile in giacca e cravatta, con il ciuffo castano perfettamente pettinato anche con i caldi più feroci, si divertiva a prenderci in giro, vedendoci ‘spiaggiati’ sulle scrivanie di Via Cairoli; ma lo faceva sempre con bonomia e affetto. E’ stato lui, insieme con Paolo Francia, a insistere perché facessimo esperienza girando il mondo appresso a racchette e palline; a darci insomma la chance di diventare professionisti nel modo più divertente e formativo. Aveva classe e riconosceva la classe, Roberto. Apparentemente distaccato, perennemente sorridente dietro la montatura british dei suoi occhiali, in realtà sempre coinvolto, interessato, partecipe – empatico, si direbbe oggi, alla sua maniera.

Quando tre anni fa accettai la direzione de Il Tennis Italiano, che ai tempi di Match Ball era «la concorrenza», fu uno dei primi a cui lo dissi, e incontrandolo in centro a Bologna mi incoraggiò e mi diede al solito consigli illuminati. A tennis ha continuato a giocare fino a pochissimi anni fa, sui campi dell’amatissima Virtus, ma anche da agonista ‘pensionato’ continuava a seguirne l’attualità. Da giramondo al seguito di mondi insospettabilmente vicini come quello dei motori e del tennis, si era trasformato in nonno affettuosissimo e stanziale, dopo essere stato padre premuroso di Luca e marito inseparabile dalla sua Anna. A loro vanno le condoglianze mie e di tutto Il tennis Italiano. Ma Roberto resterà per sempre, insieme con Viviano Vespignani, il ‘mio’ direttore, e io uno dei suoi ragazzi.