L’architetto, come veniva chiamato, è stato un dirigente di punta prima del Comitato regionale Campano, poi al Consiglio Federale all’epoca del presidente Galgani
Il tennis italiano piange la dipartita di Alfonso Gambardella. Tarantino di nascita ma napoletano di adozione, Gambardella è stato, carismatico professore universitario prima alla Facoltà di Architettura “Federico II di Napoli”, ove ha insegnato storia dell’architettura e storia della critica architettonica e poi fondatore della Facoltà di Architettura dell’Università a Caserta, che ha presieduto fino al 2005 per diventarne poi presidente onorario.
Ma nel mondo del tennis italiano, l’architetto (come lo chiamavano tutti) è stato un dirigente di punta, prima al Comitato Campano (dal 1965 al 1984) poi al Consiglio federale di Paolo Galgani (dal 1985 al 1987): negli anni, cioè, che vanno dalla trasformazione del tennis da disciplina di elite a sport di massa. In una epoca in cui le organizzazioni istituzionali e sociali, dai partiti politici alle associazioni sportive, venivano gestite dal consenso e dalla spinta dei territori che si proiettava al vertice, in luogo di concezioni gestionali inverse, che prenderanno piede in seguito.
Un politico (tennistico) scomodo, come tenne a definirsi lui stesso quando lo intervistai per Match Ball nel 1987. Uno che incarnava la funzione di dirigente dilettante con la conduzione passionale dialettica del suo mandato.
Fu una spina nel fianco per l’allora presidente Paolo Galgani, portando la critica costruttiva dall’interno del Consiglio federale in una Federazione gestita, a suo dire, con metodi di consorteria familiare in luogo di gestioni più oculate che tenessero il focus sulla spesa. Un comportamento virtuoso per una Federazione “presidenziale” come era quella galganiana che, contando sempre più società e tesserati, doveva tendere ad avere snellezza sì nelle procedure ma anche un sano controllo sulle stesse. Si batte’ per uno statuto federale, forse utopistico, di gestione democratica delle società, nell’epoca in cui i principi di democrazia interna al Coni venivano sistematicamente disattesi nella pratica.
Ma Gambardella era uno spirito libero, perché è stato un uomo libero. Assertore della qualifica di dirigente dilettante nello sport, aveva messo a disposizione il suo studio professionale a Napoli come sede del Comitato Campano e la sua segretaria, Rita, era anche la segretaria del tennis della regione. E lo stipendio di Rita era pagato dall’architetto.
Poi l’allontanamento dallo sport amato per rituffarsi nella carriera didattica e professionale ma sempre con l’orecchio sintonizzato sulle dinamiche federali oltre che sui risultati agonistici dei tennisti italiani.
L’ultima sua volta al Foro Italico fu nel maggio del 2005. Già stanco nella camminata, mi chiese di rintracciare e portargli Nicola Pietrangeli. I due incontrandosi dopo anni si commossero e parlarono un po’, ripercorrendo ricordi condivisi di quel tennis dai gesti bianchi, ove insieme erano più giovani e felici.