di Federico Ferrero
Il dilemma del Dottor Ivo
In California il paradosso Karlovic è arrivato alla massima espletazione: ventinove ace contro James Blake, cinque match point annullati e un tie-break vinto 13-11. Altre caterve di ace contro Mardy Fish e Benjamin Becker, tanto frustrati da perdere il tie-break del primo set e crollare psicologicamente nel secondo. Altri due tie-break in finale e lì, per la gioia dei detrattori del gigante buono, la legge del contrappasso gli ha opposto un campione come Andy Murray che è andato a salvare una palla break potenzialmente fatale sul cinque pari del terzo set con un ace e, proprio nel duello dei sette punti che ha deciso il torneo, ha incassato l’unico doppio fallo di Ivo di tutta la finale.
Insomma: il tennis Karlovic’s way è ridotto all’osso, due discrete volée, un buon diritto se trova il tempo per giocarlo, un rovescio inesistente. E quel servizio che, se entra, non ti permette di giocare e carica di quintali di pressione chi va a servire sapendo che, se concede un paio di punti o Ivo si inventa due risposte a braccio sciolto, la partita può essere finita lì.
Ma Karlovic è davvero l’antitennis più di quanto non lo fossero le schiere di pallettari spagnoli che per anni hanno (legittimamente) infestato i tabelloni dei tornei su terra rossa? Ha davvero meno dignità tennistica una pertica di due metri e otto centimetri che serve come un normotipo in cima a una scaletta rispetto a un pedalatore senz’arte che sfianca(va) gli avversari trasformando una partita in una corsa sui 10.000 metri? Senza servizio Karlovic non sarebbe un professionista. Bene. Ma quanti suoi colleghi, senza fiato, avrebbero cambiato lavoro?
E quanti tornei ha vinto Ivo Karlovic? Zero. Due finali, una è quella di San Jose, l’altra al Queen’s ceduta ad Andy Roddick. Jordi Arrese, di tornei, ne ha vinti sei e ha giocato una finale alle Olimpiadi.E Jaime Oncins, quello che stese tutta la squadra italica di Coppa Davis a Maceiò nel 1992, lo ricordate? Secondo voi c’è più onta nell’ace facile o nel tennis polmonare? Si cambia canale più facilmente al trentesimo ace o alla trentesima moon ball?
Cattivo tempo: gli effetti ultrattivi
La normativa sportiva sul doping ha i suoi difetti (e ne ha) ma non sfugge a regole certe. Finché un atleta non è ‘beccato’ è pulito. Dal momento dell’accertamento dell’infrazione la punizione è retroattiva, con limite fissato al torneo in cui è stato effettuato il prelievo risultato positivo: si chiedono indietro soldi e punti. Inflitta la sanzione e scontata la pena il reo è libero di tornare alle gare da atleta pulito. Nella memoria degli appassionati, alimentata dalle notizie degli organi di informazione, è l’opposto. Un ragazzo come Willy Cañas, condannato per aver assunto un diuretico che, secondo le regole, può essere utilizzato per nascondere l’uso di sostanze dopanti, viene ritenuto a seconda delle simpatie o vittima inconsapevole del sistema (o della sfortuna) o, al contrario, un baro eternamente tale. Sicché capita che l’argentino torni con la rabbia in corpo dei mesi passati lontano dal tennis e vada a vincere il torneo di Costa do Sauipe scatenando opposte tifoserie: da un lato chi celebra la vittoria della volontà sulla sorte avversa, dall’altra chi grida allo scandalo per la chance concessa a un disonesto di tornare ad arraffare gloria e quattrini. Quale via scegliere? Quella della legge. Oggi Cañas non è un dopato. Secondo la legge lo è stato e ha pagato. Se c’è qualcosa da cambiare non è Cañas ma la legge. Nel diritto italiano esiste l’interdizione perpetua dai pubblici uffici: se sei disonesto non hai (o dovresti avere) più la possibilità, neanche redento, di tornare a occupare cariche pubbliche. Nello sport potrebbe esistere un principio analogo: se inganni, se bari (ma allora deve esistere un metodo di accertamento della violazione al di là di ragionevoli dubbi) devi sapere che sarai messo fuori gioco. Non per tot mesi, non con la condizionale. Per sempre.
Previsioni del tennis
In Spagna ne parlano come del nuovo Nadal. Ha un fisico possente nonostante la giovanissima età, ha già palleggiato con il suo idolo Rafa e ha appena vinto la 25esima edizione del torneo dei Petits As di Tarbes, dominandola dall’inizio alla fine. È nato il 22 gennaio del 1993, si chiama Carlos Boluda (foto) e di sé dice che, dall’età di quattro anni, pensa solo al tennis. Ad Alicante, al club Muxtamel, sono certi che tra pochi anni Carlos sarà tra i grandi, a giocare i veri tornei contro i veri campioni. Troppo presto per dirlo: ma in Spagna difficilmente buttano alle ortiche gli investimenti su un futuro campione sia perché scelgono con cura le migliori promesse sia perché, fino a che non sono ‘arrivati’ non li abbandonano per strada nel passaggio dagli juniores ai professionisti.
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