Hanno provato ad allargarle, ad appesantirle, a sgonfiarle. Però, gira e rigira, da quando il feltro bianco delle amate Pirelli ha lasciato posto al più televisivo giallo, non abbiamo assistito a grandi rivoluzioni produttive. Di tanti in tanto ci illustrano feltri maggiormente waterproofing che dovrebbero resistere meglio all’umidità o altri di un color talmente giallo che si dovrebbero ammirare anche quando i lux sono da terzo mondo tennistico.
Per il prossimo US Open, Wilson ha sfornato novantottomila palle che subiscono 24 step produttivi, tutte perfettamente selezionate, con controlli qualità (immaginiamo senza troppa fantasia) ben superiori a quelle che finiscono da Wall Mart e, talvolta, nei nostri negozi specializzati. La ESPN, il miglior canale sportivo d’America, ha dedicato un interessante video su come viene prodotta, che vi riproponiamo e che è rimasto sostanzialmente inalterato nel tempo, tanto che qualche brand rifiuta di ricevere troppe visite, per non mostrare macchinari non necessariamente avveniristici.
C’è anche chi sospetta che tanti modelli siano sostanzialmente uguali, prodotti dalle stesse fabbriche e dagli stessi sottopagati operai; altri addirittura temono un calo delle prestazioni, ora che pare certe produzioni siano state spostate in luoghi e con tecnici meno avvezzi a questo lavoro. In ogni, resta interessante capire come viene realizzato il prodotto tennistico inevitabilmente più consumato al mondo. Va ricordato che, già intorno al 1480, Luigi XI faceva riempire le palline da tennis, che erano fatte di pelle e imbottite di lana, con gesso, sabbia e segatura o terra. In Scozia, invece, delle palline da tennis primordiali erano fatte da artigiani locali con una lana avvolta intorno allo stomaco di una pecora o una capra e legato con una corda. Intorno al XVI secolo sono state trovate altre testimonianze di palline costruite con pellicce di animali e corde fatte coi muscoli degli animali, mentre nel XVIII secolo, strisce di lana sono state chiuse intorno ad un nucleo centrale fatto di altre strisce arrotolate intorno a una piccola pallina. Solo nel 1870 fu Walter Clopton Wingfield, il vero pioniere del gioco, a importare in Inghilterra palline da tennis di gomma, realizzate in fabbriche tedesche. Per uno scatto in avanti però, va dato merito a Charles Goodyear che inventò la gomma vulcanizzata, poi riempita d’aria. Queste erano leggere e colorate di rosso o di grigio. Successivamente, John Moyer Heathcote provò a rivestire le palle con la flanella.
Attualmente, le palle da tennis sono realizzate con una miscela di gomma sintetica e naturale, nerofumo e zolfo. Gli ingredienti vengono mescolati insieme e impastati per ore. Il composto viene suddiviso in piccole sfere, calibrate con una precisione al grammo. Poi vengono modellati a caldo, con temperature che raggiungono i 160 gradi, in stampi a forma di semisfera. Le due semisfere così create, vengono estratte dallo stampo e livellate, quindi subiscono una prima lisciatura superficiale e successivamente vengono sigillate lungo i bordi con un adesivo a caldo. All’interno viene inserita aria compressa ad alta temperatura, per garantire un rimbalzo ottimale anche dopo l’incollatura tra le due parti. Le due semisfere vengono rivestite con uno strato di colla speciale e quindi unite insieme con un procedimento, la vulcanizzazione, che le rende elastiche.
Il prodotto grezzo viene poi cosparso di colla e rivestito con due linguette di feltro, composto per circa il 70% di lana e per il resto di fibre sintetiche. Dal feltro vengono ritagliate sagome di forma prestabilita che vengono unite e compresse. Viene applicata ai bordi una soluzione a base di lattice che dà alla palla le tipiche scanalature bianche.
Per quanto riguarda il feltro, questo viene tagliato automaticamente da una macchina in una forma che ricorda quella degli ossi per i cani. la macchina produce 25 di queste “ossa” al minuto e le i pila in colonne da 70 strati. Giallo, bianco e arancione sono gli unici colori permessi. Le due linguette di feltro vengono poi applicate alla palla con grande precisione. Il nucleo in gomma e il feltro vengono uniti a caldo e sotto pressione e la palla passa sotto a una macchina a vapore che definisce il feltro e gli conferisce le caratteristiche ideali per il gioco. Il feltro è importante per offrire la miglior sensazione possibile all’impatto, favorire rotazioni e resistenza alla palla, oltre che un aspetto gradevole (il feltro Dunlop per esempio, è sempre stato considerato di ottima qualità, al punto che la scritta resta intatta più a lungo, offrendo un aspetto visivo migliore anche quando la palla è consumata).
Infine, il prodotto viene controllato uno ad uno da un addetto specializzato: quelle che non rientrano nei canoni vengono o definitivamente scartate o inserite nei famosi bidoni, di seconda scelta. Da notare poi alcuni dettagli, come l’operaio costretto a girare quasi tutte le palle in senso corretto perché lo stampo ci porga sopra il nome del brand. A questo punto, vengono inserite in tubi di metallo o di plastica (da tre o quattro palle, ma in Giappone anche da due, perché ogni giocatore. porta le sue!) e quindi imballate nei cartoni (generalmente da 18 tubi).
Le palle devono comunque rientrare in alcuni parametri stabiliti dalla Federazione Internazionale (che di conseguenza lima le possibili differenze). La regole impongono che la pallina, lasciata cadere da un’altezza di 2,54 metri, debba avere un rimbalzo (su una lastra di cemento) compreso tra 1,35 e 1,47 metri. Anche peso e diametro sono rigidamente stabiliti: tra 56,7 e 58,4 gr e tra 65,41 e 68,58 mm. La vera differenza, rispetto agli anni 70-80 (colore a parte) è data dalla velocità: con l’arrivo dei bombardieri alla Goran Ivanisevic, le palle sono state decisamente rallentate, ove impedire che il tennis diventasse una sorta di tiro al piccione.