Da domani, Marco Cecchinato sarà numero 18 del mondo, sua miglior classifica. Ci ha raccontato sogni, paure e ambizioni di chi è ripartito dalle retrovie e adesso ha obiettivi importantiCLICCA QUI PER LEGGERE LA PRIMA PARTE DELL'INTERVISTA
Domani Marco Cecchinato conquisterà il suo best ranking al numero 18 ATP, dopo aver raggiunto la semifinale a Doha e in attesa di giocare questa settimana ad Auckland. Ecco la seconda e ultima parte dell’intervista che ci ha rilasciato: tra (tante) superstizioni e nuove certezze, un team affiatato e una preparazione ossessiva, l’ambizione è quella di crescere ancora. Nella consapevolezza di aver già conquistato gli appassionati italiani. Grazie soprattutto a una smorzata.
Ti va riconosciuto un gran merito: adesso quando un ragazzino italiano gioca una smorzata vincente, gli senti dire alla Cecchinato: cosa rappresenta per te questo colpo?
In due settimane a Parigi ho fatto impazzire tutti, non solo gli avversari ma anche il pubblico. È un colpo diverso, una vera goduria! E comunque, se ti riesce spesso vincente vuol dire che stavi controllando lo scambio, che eri aggressivo, perché se la giochi da dietro la linea di fondo, difficilmente l’altro non ci arriva. Per fortuna che io sono veloce ed è difficile che la subisca, perché dà fastidio.
Un colpo di puro istinto o c’è spesso un pensiero alle spalle?
È una soluzione tattica perché devi scegliere il momento giusto per farla. Succede che la pensi con un colpo di anticipo: se gioco profondo e angolato e l’avversario è spinto ben dietro la riga di fondo, posso prevedere che arrivi un colpo più corto sul quale chiudere con una smorzata. Però devi avere una buona mano: un paio possono riuscirti di fortuna ma se vuoi che diventi una vera opzione al pressing da fondo, devi sentirla bene. Anche per questo, nonostante mano e istinto siano fondamentali, a fine allenamento succede di giocarne una trentina, per tenere la sensibilità allenata.
Hai avuto tre coach fondamentali: Massimo Sartori, Christian Brandi e ora Simone Vagnozzi. Tutti, in qualche modo, escono dalla scuola di Riccardo Piatti: è stato un vantaggio avere allenatori che parlano lo stesso linguaggio?
Sartori è stato il punto di partenza e lo ringrazierò sempre: avevo 17 anni ed ero alla prima vera esperienza, avendo giocato poco da junior. All’inizio mi ha messo alla prova: se facevo bene per un mese, potevo stare a Caldaro anche quello dopo. Piano piano mi ha fatto crescere sotto tutti i punti di vista: tecnicamente mi ha aiutato tanto a migliorare dritto e servizio. E quando sono arrivato da lui, col rovescio nemmeno riuscivo a palleggiare!
Da oltre un anno è il turno di Simone Vagnozzi, a sua volta allenato durante la sua carriera da Massimo Sartori.
Per Vagno è stato il battesimo del fuoco, la sua prima esperienza da coach, si è preso un bel rischio: ero stato nei top 100 ATP ma quando ho cominciato con lui ero scivolato al numero 200, quindi aveva tante pressioni. Abbiamo un bel rapporto anche fuori dal campo, ma soprattutto mi ha aiutato tanto tecnicamente. I miglioramenti nel rovescio sono merito suo: è stato il primo a dirmi che se non lo avessi migliorato, e di parecchio, non avrei potuto raggiungere certi risultati. Molti preferiscono lavorare sui loro punti di forza per renderli ancora più performanti; con Vagnozzi invece, abbiamo deciso di colmare la mia lacuna principale. E adesso il rovescio è diventata un’arma in più. E poi legge benissimo il gioco: lui era piccolino e quindi viveva di strategia e mi ha migliorato molto tatticamente.Ma i meriti non sono solo di Vagnozzi.
Devo ringraziare tanto il mio preparatore atletico, Umberto Ferrara: credo che il fisico sia il mio colpo più forte. È molto rigido ma sa come prendermi: sono sei anni che lavoriamo tantissimo, è come un secondo papà e mi è stato vicino negli anni più importanti della mia vita, anche quando le cose non andavano così bene. E poi ci sono Peki e Luigi Sangermano, il mio manager: loro mi aiutano più fuori dal campo, per stare sereno ed equilibrato. È stato il primo anno in cui ho lavorato con un team così affiatato: ognuno mi ha dato il 100%. Non è un caso che siano arrivati anche i risultati.
Quindi si avverte un certo senso di responsabilità anche nei loro confronti o il tennista alla fine deve giocare e vincere solo per se stesso?
In questo sport, sapersi prendere le proprie responsabilità è fondamentale, anche perché in campo sei tu che devi prendere le decisioni giuste. Fuori invece è chiaro che ascolto persone più mature e soprattutto riflessive: io sono istintivo, fumantino. Ma in campo giochi per te stesso.
I tuoi genitori che ruolo hanno recitato nella tua carriera?
Sono stati fantastici perché mi hanno sempre sostenuto, senza mettermi pressione. Mi seguono quando possono perché lavorano: mia madre è segretaria del Presidente dell’autorità portuale di Palermo e mio padre è direttore dell’ASL di Palermo. Quando vedo dei genitori a bordo campo che si intromettono continuamente, impazzisco perché ho vissuto una realtà diversa, in cui ho sempre fatto io le scelte, prendendomi le mie responsabilità. Se hai dei genitori che ti stressano quando hai 15 anni, parti male.
Ora che hai raggiunto una certa celebrità: quanto è cambiata la tua vita?
Abbastanza, anche perché cambia l’ambiente che frequenti. Il feeling migliore lo trovi con altri sportivi, nel mio caso soprattutto con i calciatori perché il mio sogno era diventare uno di loro. Per me andare allo stadio è come entrare in paradiso e appena posso vado a vedere il mio Milan. Però sento ancora gli amici più stretti anche se non torno a Palermo dal Natale 2017 perché ho dato totale priorità al tennis. E alla fidanzata.
E invece con coach Brandi?
Un rapporto difficile. Anche quelli sono momenti di crescita ma del passato mi piace parlare solo di coach Sartori perché ha fatto la differenza e ancora adesso è importante per Vagnozzi confrontarsi con lui. Ci vediamo spesso nei tornei e l’anno prossimo giocherò spesso il doppio con Andreas Seppi.Sei riuscito in imprese in cui pochi credevano: pensi di poter essere un esempio per i vari Berrettini, Sonego, Baldi, Napolitano…
Ho spronato tanti giovani a crederci di più. Però farei un distinguo con Berrettini che è già pronto a fare un grande salto. Gli altri hanno un buon potenziale ma serve tanto lavoro e soprattutto consiglierei di fare un percorso di crescita personale: se diventi uomo, poi migliori anche in campo. I primi 50 del mondo hanno qualcosa in più dal punto di vista umano, più che tecnico.
Coppa Davis: ti piace la nuova formula? L’Italia che obiettivi si può fissare?
Dopo tanti anni abbiamo una squadra molto competitiva su tutte le superfici. Saranno quarant’anni che l’Italia non aveva due top 20 e altri due top 50 (in realtà Berrettini è numero 54, ma la sostanza non cambia n.d.a.). Io e Fognini giochiamo meglio sulla terra, Berrettini e Seppi sull’erba, e siamo tutti competitivi sul cemento. Non dobbiamo sottovalutare l’impegno contro l’India ma poi nella fase finale sarebbe bello ragionare e prepararsi per vincere. La nuova formula? Mah, giocare la Davis due set su tre e mai in casa è strano. Non so quanto durerà questa scelta ma noi, in ogni caso, dobbiamo puntare solo a far bene.
Il tennis sta vivendo momenti di cambiamento: c’è qualche regola che stanno testando che ti piace, tipo set ai quattro game, no-ad, no-let…
No e spero non vengano mai approvate.
Però cambieresti quella del coaching, la possibilità di ricevere consigli da parte dell’allenatore?
Quella sì, ma senza che il coach possa scendere in campo, altrimenti vedremmo delle risse! Lascerei gli allenatori liberi di parlare dalla tribuna. Tanto già lo fanno!
Pare che tu sia superstizioso…
Molto. Stessa doccia e se è occupata… aspetto. Mando lo stesso messaggio a fidanzata e manager prima del match e loro devono rispondere sempre nello stesso modo. Quest’anno poi ho giocato sempre con il modello di calze e scarpe dell’anno scorso e tutti quelli del team devono sedersi in un certo ordine in tribuna.
Un match Nadal-Cecchinato è manna per gli psicologi: ma la superstizione serve davvero a sentirsi più sicuri?
Boh, forse è una malattia ma seguire certe fissazioni mi fa stare bene. E considera che ho cancellato quelle che non potevo gestire io: quello era un problema!
Anche tra i tennisti, i tatuaggi sono di moda: quanti ne hai?
Tre: il numero tredici che per molti è segno di sfortuna ma, essendo io superstizioso, credo mi porti bene. Non è un caso che sia entrato la prima volta nei top 100 ATP vincendo un match di venerdì 17. Poi un disegno intrecciato con le iniziali della mia famiglia, e quello più particolare, la forma di un bacio. Però entro la fine dell’anno ne arriverà un altro, forse due.
Uno sarà per la fidanzata, l’altro vuol forse dire che la famiglia potrebbe allargarsi?
Eh, vediamo. Diciamo che ci sono progetti importanti.
Quest’anno hai guadagnato in soli montepremi quasi un milione e mezzo di dollari: qual è il regalo più bello e costoso che hai fatto?
Dopo Roland Garros, un gioiello alla mia fidanzata. E adesso una vacanza alle Maldive che penso sarà molto speciale.
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