Il 18 enne spagnolo ha conquistato il primo 1000 della sua carriera componendo una sorta di puzzle vincente degli stili dei Fab Four, che fa di lui il tennista completo, capace di giocare a tutto campo su molte superfici. Al netto di incognite e imprevisti, Carlito è destinato ad essere la figura di riferimento dei prossimi anni

Semmai cercassimo lumi circa l’andazzo del tennis di qui a qualche anno, la finale di Miami giunge a sgombrare l’orizzonte da ogni possibile dubbio: il successo al vertice sarà frutto di un modello di gioco assolutamente universale. Un tennis che non faccia troppe distinzioni tra zone del campo o superfici di gioco, chiedendo ai protagonisti il meglio da fondo come a rete, sulla terra come sul duro. Un tennis equidistante dal frammentario serve and volley e il randellamento cieco tanto in voga fino a qualche anno fa.
Non lo dico io, ma Carlos Alcaraz, spagnolo della Murcia che scavallando nella maggiore età ha deciso di presentarsi al mondo come il futuro immediato di questo sport. Per farlo ha colto il lirismo di Federer, il raziocinio di Djokovic, l’agonismo di Nadal e le geometrie di Murray. In soldoni, ha raccolto il meglio degli ultimi venti anni e lo ha elaborato. Ci ha aggiunto mobilità, reattività e determinazione e come una molla lo ha rilanciato ad alta velocità verso il tennis che sarà. La vittoria ottenuta sul centrale dell’Hard Rock stadium, dunque, va oltre il risultato stesso e racconta di un tennis ormai fuori da modelli prevaricanti, avviato bensì verso altri destabilizzanti grazie anche all’inserimento di smorzata e pallonetto, caduti per lungo tempo in disuso per tornare ultimamente fortemente in auge.
È curioso che questa new wave arrivi per mano di un iberico di diciotto anni col viso da torero, lontano dal modello corri e tira sul quale il tennis spagnolo ha vissuto di rendita da Higueras in qua. Carlos Alcaraz ha rotto tutti gli schemi e si è presentato alla ribalta come uno dei giocatori più completi che mai abbia calpestato le righe di un campo. Quanto visto sul centrale dell’Hard Rock, ci regala forse il capostipite di un nuovo formato tecnico che risponde ai canoni di un tennis moderno, fatto di potenza e grande duttilità. Uno stile universale che esclude dalla lotta giocatori troppo settoriali, legati a risposte tattiche poco variabili.
Poche volte si è visto un giocatore ribaltare con tanta disinvoltura situazioni di difesa in altre vincenti. Frutto di grande mobilità ma anche di spiccata determinazione e spiccato controllo emotivo.
Tre titoli in bacheca, di cui un Masters 1000, non sono poca cosa per un ragazzo agli sgoccioli dell’adolescenza con un piede nella prima giovinezza. Ora tutti lo indicano come al futuro dominatore, ma le incognite sono dietro l’angolo anche per lui. Quindi prudenza non guasta. Per il resto, come si dice: se son rose…