Una grande mostra a Roma e un affascinante documentario in uscita nelle sale il 10 di marzo tornano ad esplorare l’opera e la vita tormentata del maestro lombardo a cui fu fatale un ‘match’ di pallacorda

La mostra appena inaugurata a Palazzo Barberini ha riacceso, come avviene per fortuna con regolarità, l’attenzione sul genio e la vita avventurosa e maledetta del Caravaggio. Il grande pittore lombardo, come gli appassionati più attenti sanno (e come Gianni Clerici ha raccontato in ‘500 anni di tennis’) era un praticante compulsivo di pallacorda, il gioco antenato del tennis, popolarissimo in Europa fra medioevo ed età barocca, in particolare in Italia dove fu Antonio Scaino da Salò a codificarlo per primo.
«Quando (Caravaggio, ndr) ha lavorato per un paio di settimane – scrive, a cavallo del 1600 e 1601, il suo collega e biografo fiammingo Karel van Mander – Se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al fianco e un servo di dietro, e gira da un gioco di palla all’altro, molto incline a duellare e a far baruffe…». Il Caravaggio che depone pennelli e colori e imbraccia la racchetta è dunque sanguigno, facile all’ira, una sorta di Kyrgios del Seicento. Tanto che fu proprio un ‘match’ di pallacorda a segnare per sempre la sua vita.
Il fattaccio ha luogo a Roma, nel pomeriggio del 28 maggio 1606, nei dintorni di Campo Marzio.
Caravaggio, il cui vero nome come è noto è Michelangelo Merisi, si trova in campo quando, non per sua iniziativa si scatena una rissa. Ecco come la descrive l’altro suo biografo, Riccardo Gandolfi: «pigliandola nel gioco di palla con un certo Ranuccio da Terni, e venendo a costione seco, cagione che ne haveva havuta una racchetta esso Michele, ne restò ucciso esso Ranuccio». Ranuccio ovvero Ranuccio Tomassoni, un personaggio molto discusso ma influente all’epoca nell’alta società della capitale; fra l’altro, come ha scritto Egizio Trombetta (l’appassionato e studioso che si è occupato più a fondo della questione e a cui devo molte delle informazioni che riporto in queste righe) «ben introdotto con i Farnese». Una lite di gioco, secondo il Gandolfi accesa da una racchettata, ma più probabilmente da una ‘chiamata’ contestata, una palla dento o fuori diremmo oggi. «Per giuditio dato sopra un fallo, mentre si giocava alla racchetta», come suggeriscono altri cronisti.
Il retroscena, però, va oltre un semplice litigio, che in realtà sarebbe stato solo il pretesto per sanare una rivalità asprissima fra Tomassoni e Caravaggio. Il pittore lombardo infatti aveva messo da tempo gli occhi sulla moglie – sarebbe meglio dire protetta… – del rivale, Filide Melandroni, che fra l’altro aveva posato come modella per alcune sue opere, dal ‘Ritratto di cortigiana’ alla ‘Santa Caterina d’Alessandria’, da ‘Marta e Maria Maddalena’ a ‘Giuditta e Oloferne’. Lo confermerebbe anche la dinamica dell’aggressione, che lasciò ferito lo stesso pittore e altri personaggi presenti sul luogo, mentre Ranuccio morì dissanguato. Caravaggio infatti non aveva intenzione di uccidere Tomassoni, piuttosto di mutilargli i genitali, ma l’affondo fu deviato e finì per squarciare l’arteria femorale. Un altro grande esperto della vicenda e di Caravaggio in generale, Monsignor Sandro Corradini, interrogato proprio da Egizio Trombetta, si esprime così: «C’era una cattiva fama della moglie di Ranuccio Tomassoni, e in qualche modo Caravaggio ha insistito su questo problema. La famiglia di Ranuccio si volle in qualche modo vendicare per aver sparlato nei confronti di lei. Si tratta di una resa di conti da parte di un gruppo famigliare, infatti sono coinvolti i due fratelli di lei e i due fratelli del Tomassoni. Dai documenti non si sa altro». Filide, definita ‘cortigiana scandalosa’ dalla diocesi di Roma, era peraltro stata arrestata a sua volta nel 1599 per aver tentato di accoltellare un’altra ‘donna di mondo’ dell’epoca, Prudenza Zacchia, dopo averne scoperto la tresca proprio con Ranuccio. Oltre alle questioni di letto, però, a dividere Caravaggio, protetto dall’ambasciatore di Francia, mentre la famiglia Tomassoni era filo spagnola, secondo altri testimoni ci sarebbero stati anche debiti non pagati. Insomma, ce ne sarebbe abbastanza per un paio di stagioni di una docuserie su Netflix.
Al di là delle suggestioni fornite da questo ‘cold case’ barocco, restano le terribili conseguenze del pomeriggio di sangue alla pallacorda sulla vita di Caravaggio, che all’epoca aveva 35 anni. «Dopo quel fattaccio Caravaggio fu costretto a lasciare per sempre Roma, come aveva lasciato Milano anni prima e sempre per lo stesso motivo», spiega Trombetta. Accusato di omicidio, e condannato alla decapitazione, Caravaggio fu aiutato a fuggire da Filippo I Colonna, riparò prima nei feudi laziali del principe, poi a Napoli, quindi a Malta e in Sicilia, quindi di nuovo a Napoli, dove dipinse opere grandiose, prima di morire di febbre alta a Porto Ercole, dove era sbarcato nella speranza di una grazia papale, il 18 luglio 1610.

Davvero una storiaccia, che però testimonia quanto fosse diffusa la pallacorda – uno dei tanti ‘codici’ di gioco imparentati con il nostro Lawn tennis – nell’Italia di quel periodo. Egizio Trombetta e un altro studioso di valore come l’olandese Cees De Bondt hanno trattato a fondo l’argomento, e proprio Egizio ha scoperto tracce di antichi campi di pallacorda in Vaticano, al Quirinale e a Palazzo Aldobrandini.
«Caravaggio sicuramente avrà potuto condividere la sua passione anche con Maffeo Barberini», scrive Trombetta in un articolo consultabile per intero all’interno del sito cludelebalette.com.
«Certo è che il ritratto di Maffeo Barberini è ad opera del Caravaggio. Maffeo (poi Papa Urbano VIII ) fu grande appassionato di Pallacorda, come testimonia un testo di Giovanni Ferro (…) interamente dedicato a Maffeo Barberini, dove si può trovare un’incisione di una porzione di campo di pallacorda. Maffeo Barberini insieme ad altri valenti uomini come Filippo I Colonna, Ippolito Aldobrandini (poi Papa Clemente VIII), Francesco Barberini (Cardinale nel 1623 e nipote di Urbano VIII) e Fabio Chigi (poi Papa Alessandro VII), tutti di sangue blu e tutti, o quasi, appassionati di pallacorda».

Un motivo in più per gli amanti del tennis per visitare la mostra di Palazzo Barberini e per gustarsi il bellissimo documentario di Alvaro Longoria, ‘Il Caravaggio perduto’, prodotto da Fandango e in uscita nei cinema di tutta Italia il 10, 11 e 12 maggio.

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