Il tennis americano è sempre più in crisi. Mancano i giocatori, ci sono meno tornei e 3 degli otto eventi pre-Us Open non hanno un title-sponsor. Ma Washington tiene duro.
Mardy Fish ha un buon feeling con i tornei americani. Ma ce ne sono sempre meno
Di Riccardo Bisti – 30 luglio 2013
Ai suoi tempi, il sudafricano Wayne Ferreira sceglieva i tornei in base alla bellezza della città e non sulla superficie di gioco. Gli piaceva fare il turista insieme alla moglie. Non è certo il caso di Mardy Fish e John Isner. I due americani riconoscono la bellezza di città come Roma o Parigi, ma se c’è di mezzo il tennis…non avrebbero dubbi ad andare a Mason, in Ohio. Prendiamo Fish: l’aeroporto di Cincinnati è piuttosto facile da raggiungere dalla sua casa di Los Angeles. Non ci sono barriere linguistiche, il menù al Macaroni Grill gli è molto familiare (anche se qualche anno fa si è messo a dieta, peraltro con ottimi risultati). Infine, le stanze dell’hotel ufficiale sono belle e spaziose. “Giochi bene nei luoghi dove ti trovi a tuo agio” dice l’ex ragazzo del Minnesota. Quella sensazione di familiarità esiste anche al Citi Open di Washington, tappa importante per tutti gli amanti del cemento. Per molti degli iscritti al tabellone, è il primo torneo di preparazione per lo Us Open. Negli ultimi anni si è molto parlato della crisi del tennis americano, dando la colpa a molti fattori, globalizzazione su tutti. Ma c’è un altro aspetto cruciale: ci sono sempre meno tornei e, di conseguenza, meno possibilità di intascare punti. Nel 1983, gli Stati Uniti ospitavano 26 tornei ATP. Nel 1993 erano 18. Quest’anno ne sono rimasti 11. Tra loro, il più longevo è proprio Washington. Tanti nomi sono scomparsi dalla geografia del tennis. Boston, Cleveland, Dallas, Indianapolis, Los Angeles, Philadelphia, Richmond e Tampa sono solo alcune delle città scomparse dal calendario ATP. “Ci sono tante ragioni, ma soprattutto economiche" ha detto Donald Dell, promotore di eventi ed ex capitano del team americano di Coppa Davis. Fu lui, nel 1969, a creare il torneo di Washington insieme ad Arthur Ashe.
Ovviamente, il tennis americano è entrato in crisi anche per ragioni extra-organizzative. Negli anni 70-80-90 c’erano nomi che bastavano a riempire gli stadi: Jimmy Connors, John McEnroe, Andre Agassi, Pete Sampras. Dietro di loro, un movimento di enorme portata, capace di mischiare qualità e quantità. Oggi non c’è un solo americano tra i primi 10 e solo due tra i top-50 (John Isner e Sam Querrey, rispettivamente 28 e 25 anni). In assenza di un nome di richiamo, almeno in campo maschile (tra le donne c’è Serena Williams, ma quanto durerà?), gli ascolti televisivi sono peggiorati. In Europa le cose vanno meglio, anche perché quasi tutti i top-players provengono dal vecchio continente. In Asia c’è un boom, tanto che il tennis è il secondo sport in diversi paesi. In Cina, grazie agli exploit di Na Li, si è assestato in terza posizione. “Secondo me, il tennis è il secondo sport al mondo in termini di popolarità – dice Andy Roddick, sempre più calato nel ruolo di opinionista – il problema è che negli Stati Uniti non è così. Gli americani amano guardare gli sport che conoscono, soprattutto quelli a maggiore partecipazione americana come il Football NFL, dove buona parte degli atleti sono di nazionalità statunitense”. E’ vero che lo Us Open è il più grande evento al mondo su scala annuale, ma senza grossi ascolti TV non è facile attirare quegli sponsor che consentono la sopravvivenza di un torneo. E magari lo fanno guadagnare.
C’è un dato inquietante: tre degli otto tornei di avvicinamento allo Us Open sono privi di un title-sponsor. Il torneo ATP di Winston-Salem e due eventi femminili: il Southern California Open di Carlsbad e il torneo di New Haven, lasciato a piedi dalla Pilot Pen. In paesi dove il tennis gode di una grande popolarità, è più facile mischiare risorse pubbliche e private per acquistare tornei e pagare ingaggi ai giocatori. In tanti posti europei, ma soprattutto in Asia e Sud America, la presenza di star planetarie come Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic è considerata un modo astuto per sviluppare il turismo ed elevare il profilo internazionale di una città. Pensate quanta popolarità hanno avuto Vina del Mar e San Paolo, primi due tornei giocati da Nadal nel 2013. O a quanta pubblicità gratuità avrà Brisbane grazie alla presenza di Roger Federer nel 2014. “Per organizzare un torneo di successo bisogna fare tre cose – dice Dell – una volta che hai i giocatori, i giocatori fanno arrivare gli sponsor. E gli sponsor portano la televisione. Se sei il secondo sport più popolare in Germania o in Gran Bretagna, ma soltanto il 10-11esimo negli Stati Uniti, per l’Europa è più facile trovare sponsor di alto profilo”. Washington resiste grazie anche alla sua proprietà, una società no-profit denominata Tennis Washington and Education Foundation, che finanzia gran parte dell’evento. Per questa ragione, il torneo non è in vendita nonostante ci siano stati diversi approcci da chi vorrebbe portarlo altrove. Nel 2009, anno del varo degli "ATP 500”, è stato fatto lo sforzo di raddoppiare il montepremi (oggi superiore al milione di dollari). Lo status di “500” dovrebbe metterlo al riparo, anche se non si sa mai. “Finchè mantiene il suo status di 500 non ci saranno problemi – dice Roddick, vincitore in tre occasioni – Io venivo sempre molto volentieri. Uno, mi divertivo, Due, sapevo che avrei dovuto giocare un certo numero di tornei 500. E Washington non è mai stato in discussione”. Quest’anno ci sono sei dei primi 20 al mondo, tra cui Juan Martin Del Potro, e due ex top-players come Lleyton Hewitt e James Blake. Non manca Fish: “Ci sono posti dove gioco bene, e Washington è uno di questi. Alloggio in un grande alberto a Georgetown, si può passeggiare, conosco i ristoranti. Mi sento bene. Vorrei restarci più a lungo possibile. Amo questo posto”. Almeno un torneo in salute sembra esserci.
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