Continua il digiuno Slam dei transalpini. Ottimi giocatori e ottimi piazzamenti sono soltanto un surrogato per una maledizione che rischia di durare ancora a lungo. La sospensione ha aiutato Djokovic. Il giallo sulle condizioni di Serena Williams. 

Il pomeriggio era iniziato male. Poi, però, la sfida è girata. Mentre il servizio di Jo Wiflried Tsonga sfrecciava quanto le macchine nella sua Le Mans, i francesi hanno ricominciato a sperare. La loro voglia di vincere un torneo del Grande Slam, al maschile, straborda dai gradoni del Campo Chatrier. La caduta del pannello di qualche giorno fa, volendo, può essere una metafora dei loro sogni di gloria. E' troppo grande, non la reggono più. E Tsonga, figlio perfetto del multiculturalismo francese (anche se meno carismatico di Yannick Noah, l'ultimo eroe), sembrava potercela fare. Almeno una finale, accidenti. Tutti ricordano che l'ultimo successo francese a Parigi risale al 1983, ma anche l'ultima finale non scherza. 1988, Henri Leconte frantumato da Mats Wilander, che sbagliò la miseria di tre prime di servizio e accese i fischi del Campo Centrale per il povero Riton. Da allora tanti buoni propositi, diverse semifinali. Vincere? Neanche a parlarne. La terra rossa è diventata proprietà esclusiva dei latinos, da Sergi Bruguera a Rafa Nadal, passando per Guga Kuerten, Carlos Moya, Juan Carlos Ferrero e persino Albert Costa e Gaston Gaudio. La Francia non è un paese in crisi, ma certe statistiche preoccupano. Tra i quattro paesi Slam, soltanto l'Australia attende da più tempo un vincitore indigeno (Mark Edmonson, 1976). Però gli australiani hanno vinto parecchio anche dopo: Cash, Rafter, Hewitt. E, soprattutto, hanno prospettive brillantissime. Nick Kyrgios e Thanasi Kokkinakis faranno sfracelli. Gli Stati Uniti non ridono, ma l'ultimi titolo risale comunque al 2003. Al netto dei progetti di Larry Ellison, hanno ottime ragioni per sperare: al torneo junior, hanno piazzato tre semifinalisti su quattro. E la Gran Bretagna, oltre a Murray per ancora qualche anno, può aspettarsi cose interessanti da Kyle Edmund.


IL FUTURO SULLE SPALLE DI POUILLE?

La Francia ha una grande tradizione, 27 centri tecnici sparsi per il territorio e la splendida nomea di paese “dove si gioca bene a tennis”, anche se di recente Patrick Mouratoglou ha provato a smontarla, alimentando una polemicuccia interna. La verità è che sembrano a un bivio. Negli ultimi anni, pur mantenendo un ottimo livello medio, hanno toccato punte d'eccellenza con due francesi non esattamente purosangue (Tsonga e Monfils). L'unico "puro" davvero forte è stato Richard Gasquet, che però non ha mai scardinato il muro tra sé e l'eccellenza. E' quasi certo che questa generazione non vincerà mai uno Slam. Nel 21esimo secolo hanno raggiunto appena due finali, entrambe in Australia: Arnaud Clement nel 2001 e Jo Wilfried Tsonga nel 2008. Tanti piazzamenti, da far invidia a decine di nazioni, ma insufficienti per la patria dei Moschettieri. E' vero che da Yvon Petra e Marcel Bernard a Yannick Noah c'erano state soprattutto vacche magre, ma oggi, con i proventi del Roland Garros e una grande tradizione, dovrebbero sperare in qualcosa di meglio. Invece non vincono la Davis addirittura dal 2001 (e per quel successo devono ringraziare la vena di Escudè, oltre all'ingenuità del capitano australiano che corse dietro ai sogni di gloria di Rafter). Da allora, tre finali tutte perse maluccio, ingloriosamente. E il futuro? Non sembra così roseo. Il nome su cui puntare è un ragazzino con la mamma finlandese, Lucas Pouille. Classe 1994, è l'unico francese under 25 tra i top-100. Gioca benissimo, ha già fatto belle figure, ma sarà sufficiente a diventare un top-5? Già, perchè i francesi non possono chiedere niente di meno. Più indietro, i nomi interessanti si chiamano Mathias Bourgue, Enzo Couacaud, Maxime Hamou e – forse – Laurent Lokoli, attrazione del Roland Garros 2014. Un discreto movimento, ma non si vede la stella. Magari ci smentiranno, ma tra loro non sembra esserci un sicuro vincitore Slam.


LA PIOGGIA CHE NON ESISTE, LA FEBBRE DI SERENA

Nel frattempo, Parigi volge al termine. Doppi a parte, restano due partite e mezzo. La mezza è la semifinale tra Novak Djokovic ed Andy Murray. Vien da domandarsi perchè l'abbiano sospesa alle 20.30, dopo che negli anni scorsi si era giocato fin quasi alle 22 (lì, in effetti, si esagerava…). Peraltro con una motivazione curiosa (“rischio pioggia”), che ovviamente non si è verificata. Hanno sbagliato a mandarli negli spogliatoi, sia per il pubblico sia perchè così è stato favorito Djokovic. Ok, aveva ripreso il break di svantaggio nel quarto set, ma l'impressione è che Murray fosse definitivamente entrato in partita. Oggi, al rientro, Nole avrà le idee di nuovo ordinate e ha ottime chance di chiuderla senza troppi patemi. Chissà se lo scozzese ci smentirà. Ma almeno il quarto set dovevano farlo finire. Sabato, tempo di finale femminile. Nel nostro Pronocast, Jacopo Lo Monaco ci ha spiegato perchè Serena Williams non potrebbe mai perdere se fosse al 100%. Tuttavia, c'è un dubbio enorme che sarà svelato solo dai primi game. Come sta? Contro la Bacsinszky ha bluffato oppure aveva davvero qualche problema? Mouratoglou dice che sta male da giorni. L'unica certezza è che venerdì non si è allenata, senza nemmeno uscire dal suo appartamento parigino. Da par suo, la Safarova ha esorcizzato la tensione giocando (e vincendo) la semifinale del doppio. Lucie ha scritto una bella favola, ma l'incompatibilità tecnico-tattica con Serena è enorme, ancor maggiore rispetto a quella tra Serena e Maria Sharapova. “Serena scenderebbe in campo anche con una gamba sola” ha sentenziato Patrick Mouratoglou. A costo di essere brutali, per sollevare la Coupe Suzanne Lenglen, la simpatica ceca dovrà sperare che Serena sia davvero in questa condizione. Niente di meno.