E’ l’opinione di Rafael Nadal: “Condizioni più rapide mai trovate a Melbourne. Non capisco perché. Ma io ho sempre le stesse chance”. Ma può essere la via per ricreare il constrasto di stili.
Rafael Nadal in conferenza stampa a Melbourne
Di Riccardo Bisti – 11 gennaio 2014
Ma ‘sti benedetti campi di Melbourne Park sono veloci o no? Noi guardoni lo scopriremo tra poche ore, ma emergono i primi pareri dei giocatori. Non ci sono risposte univoche: l’unica certezza è che nei tornei di preparazione (Brisbane e Sydney su tutti) i campi erano piuttosto rapidi. I nomi dei vincitori (Hewitt, Serena, Del Potro, Pironkova) alimentano la tesi. Secondo Del Potro, il plexicushion di Sydney è addirittura veloce come l’erba. C’è da credergli, anche perché la finale contro Bernard Tomic ha avuto una velocità supersonica (53 minuti). Uno dei più interessati alla vicenda è Rafael Nadal, il cui rendimento dipende parecchio dalla velocità della superficie. Quando lo hanno informato del possibile cambio, a Doha, disse: “Credevo che Craig Tiley fosse un amico”. Scherzava, ovviamente. Qualche giorno dopo, con l’aria molto più seria, lo stesso Tiley (che è anche diventato amministratore delegato di Tennis Australia) ha sottolineato che i campi saranno gli stessi degli anni passati. O meglio, preparati come gli anni passati. Eppure, a giudicare dalle voci che arrivano da Melbourne Park, qualcosa è cambiato. Forse non in misura straordinaria, ma comunque sensibile. Certamente è il pleixcushion più veloce da quando, nel 2008, gli australiani hanno abbandonato il famigerato “rebound ace” e sono passati a una superficie meno appiccicosa e più confortevole. E già che c’erano, per la gioia del pubblico in TV, sono passati dal verde al blu. Nella conferenza stampa pre-draw, Nadal ha detto la sua sui campi. E non era troppo felice.
“Sono condizioni completamente diverse rispetto a quelle che ricordavo – ha detto Rafa – di sicuro le più veloci mai trovate in Australia. Non capisco perché abbiano deciso di cambiare rispetto agli ultimi due anni: l’Australian Open aveva avuto match eccezionali, lunghi, splendidi per il pubblico. Non so perché vogliano rendere tutto più veloce”. Forse non tutti hanno gradito la finale di quasi sei ore che due anni fa lo ha visto protagonista con Novak Djokovic. O forse – mica è peccato dirlo – un campo più veloce può aumentare le chance di Roger Federer, il tennista più amato del globo. “Non sono sicuro che sia la cosa migliore per lo spettacolo – ha proseguito Nadal – ma hanno deciso così e dovrò cercare di essere competitivo fin dall’inizio. Mi sto allenando nel modo giusto, sono arrivato una settimana prima e credo che le cose migliorino giorno dopo giorno”. Chi pensa a uno sfogo per proteggere i suoi interessi, tuttavia, resta deluso dalla frase successiva. “Non credo che i campi più veloci possano condizionare le mie chance di vittoria. In passato ho già giocato bene in condizioni veloci. Tuttavia, dovrò giocare al massimo per essere competitivo”. Ovviamente, un campo più veloce favorirebbe le chance di Roger Federer, secondo cui c'è bisogno di un aiuto per evitare che il tennis non diventi terra di conquista per chi si limita ad aspettare ed essere paziente. C'è poi un altro fattore: Melbourne è la città più complicata per giocare a tennis. Le condizioni climatiche sono un fattore: capita che uno spettatore inizi a seguire un match a torso nudo e lo finisca in maglione.
Nelle ore più calde si toccano i 40 gradi, mentre nella sessione serale la temperatura cala vertiginosamente. Senza contare gli improvvisi acquazzoni (o la calura eccessiva) che obbligano a giocare indoor nei due campi principali (dall’anno prossimo saranno tre). I top players, dunque, dovranno essere pronti a qualsiasi tipo di condizione. Nel complesso, la scelta di velocizzare i campi (voluta o no, non si è capito) è felice. Mette un po’ di pepe, aumenta l’interesse e scompiglia le carte, soprattutto nel torneo maschile. Il bello del tennis è sempre stato il contrasto di stili: l’omologazione delle superfici, in effetti, ha creato un certo appiattimento degli stili di gioco. Proliferano i grandi difensori, mentre gli attaccanti sono sempre più rari. Ma devono esserci anche loro. Chi dimentica la bellezza di certe sfide tra Sergi Bruguera e Pat Rafter, estremi opposti di stile e mentalità? Chissà che il nuovo plexicushion non porti in questa direzione. Magari l’Australian Open 2014 sarà ricordato più per questo che per il vincitore.
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