WIMBLEDON. Una strepitosa Giorgi batte la Petrova e vola agli ottavi. Quando la Schiavone raggiunse per la prima volta la seconda settimana in uno Slam, aveva 5 mesi di più.
Camila Giorgi non ha firmato alcun contratto con aziende o partner commerciali
 
Di Riccardo Bisti – 30 giugno 2012

 
Nell’Era Open è successo solo tre volte che un'italiana raggiungesse la seconda settimana di uno Slam e fosse più giovane di Camila Giorgi. A muso duro, l'italo-argentina ha raggiunto gli ottavi a Wimbledon a 20 anni e 6 mesi. Hanno fatto meglio di lei soltanto Sandra Cecchini (quarti al Roland Garros 1985 a 20 anni e 3 mesi), Laura Garrone (ottavi a Parigi nel 1986 a 18 anni e 6 mesi) e Adriana Serra Zanetti (aveva 19 anni e 3 mesi quando raggiunse gli ottavi al Roland Garros 1995). Ma le prospettive sembrano diverse. La Giorgi sogna di diventare numero 1 e non ha paura a dirlo. Il suo atteggiamento in campo è impressionante. Gioca tutti i punti allo stesso modo: 15-15 nel terzo game o matchpoint, state certi che picchierà a occhi chiusi, senza paura. Dritto o rovescio non fa differenza. Qualcuno la chiamerebbe incoscienza, qualcun altro pensa che sia la qualità di un campione. In questo, ricorda vagamente Boris Becker, uno a cui non hanno mai presentato la paura. Neanche Camila la conosce, e difficilmente ci andrà a cena. Nell’ora e mezza in cui ha battuto Nadia Petrova con il punteggio di 6-3 7-6 c’è tutta la Giorgi, interamente plasmata da papà Sergio. In questo articolo metteremo solo virgolettati del padre, perché Camila parla a voce bassa, con i media è ancora timida (la è meno con i fotografi, avendo realizzato già un servizio in giovanissima età). Non ti dice granchè. ("Sono contenta, posso andare avanti, voglio salire in classifica, bla-bla-bla") Lui, al contrario, è il demiurgo di una ragazza che entrerà tra le prime 100 ma non si pone limiti. Richard Williams aveva progettato di portare due figlie al numero 1 del mondo. Ce l’ha fatta. La parabola di Sergio Giorgi è differente. Nato a La Plata nel 1962, a 20 anni combatteva la guerra delle Malvinas, folle idea della Giunta Militare che l’anno dopo sarebbe stata spazzata via. Nel 1987 ha deciso di venire in Italia, dove Camila è nata, il 30 dicembre 1991, a Macerata. La ragazza avrebbe potuto diventare un’ottima ginnastica (le movenze le ha ancora oggi), ma poi ha optato per il tennis. Nel 2000 l’IMG le offrì una borsa di studio per andare da Bollettieri. Avrebbe dovuto fare la spola tra Milano e Bradenton. Primo rifiuto di Sergio, nemico di tutte le agenzie di rappresentanza. “Io sono un estremista. O tutto o niente. Non mi piacciono le cose a metà. Non abbiamo firmato con nessuno quando era numero 500 del mondo, adesso che è 100 valuteremo molto bene il da farsi”.
 
In verità esiste una trattativa. C’è un’azienda che la tampina sin dal Roland Garros. “Ci hanno mandato un contratto, ma c’erano diversi punti che non mi piacevano. Allora ce l’hanno rimandato corretto. Adesso dobbiamo incontrarci a Londra. Vedremo se ci converrà”. Nel frattempo gioca con graziosi abitini in pizzo, ma rispetto a Lea Pericoli ha tutt’altro fisico. Sergio Giorgi era meno estremista in tema di coach. Ne hanno provati tanti: Pancho Alvarino, Jofre Porta, Eric Van Harpen e Patrick Mouratoglu. “Ma lei si trova bene con me – continua Sergio – la gente dice che non arriverà da nessuna parte perché il padre non sa niente di tennis. La mia presenza dà fastidio perché va contro la tradizione”. Sul piano tattico, la Giorgi non usa schemi particolarmente complessi. “Non le serve la tattica. Io non guardo partite, non guardo quello che fanno gli altri. Ciò che conta è la nostra intesa”. A papà Sergio bisogna dare un merito: la figlia ha un atteggiamento straordinario. Non cambia mai espressione, è sempre focalizzata sulla partita. Non si lascia andare a esultanze, pugnetti, lagne, lanci di racchette. In questo non è per nulla italiana. “Era solo questione di tempo – chiosa Sergio Giorgi – non sono affatto sorpreso. Adesso c’è grande interesse attorno a lei, ma non cambia niente”. E’ normale che sia così, ma con la protezione di un padre che assomiglia vagamente ad Angelo Branduardi può raggiungere il top del suo potenziale. Le stanno dietro in tanti, anche la Federazione Italiana Tennis. “Ci hanno mandato un contratto l’anno scorso e uno quest’anno. Non abbiamo firmato. Vogliono assicurarsi che giochi in Fed Cup per l’Italia”. Andrà a finire così, anche se l’anno scorso la ragazza sussurrò che non le sarebbe dispiaciuto giocare per il paese d’origine dei suoi. “Ma la AAT non l’abbiamo mai sentita, difficilmente ci chiamerà”.
 
Sul Campo numero 3 ha tirato botte dalla prima all’ultima palla. Contro Nadia Petrova ha rimesso in piedi un secondo set in cui si è trovata in svantaggio 5-1. Senza guardare il punteggio ha continuato a esprimere il suo tennis. Ha risucchiato l’avversaria e ha giocato un ottimo tie-break. Camila non accetta il dialogo: cerca il vincente da tutte le posizioni con un rovescio sicuro e un dritto di cui riesce a mascherare con efficacia la direzione. Il paragone con Andre Agassi è azzardato ma non è così insensato. Lunedì sfiderà Agnieszka Radwanska, numero 3 del mondo che ha rifilato un netto 6-0 6-2 alla povera Heather Watson, travolta dalla pressione dei britannici. Parte sfavorita, ma intanto arriva da sei match consecutivi in cui non ha perso neanche un set. Se riesce a prenderla a pallate, chissà…