Nessun top 20 ATP e WTA ha cambiato brand di racchette in questo 2015. E più in generale, nelle ultime stagioni i passaggi da un marchio all’altro sono stati pochissimi. Vi spieghiamo le ragioni.Se il calciomercato è diventata una tale ossessione da far nascere trasmissioni tv tra le più seguite del panorama sportivo italiano, il tennismercato è ciò che di più stantio si può trovare. I presidenti delle squadre di football si lamentano che gli uomini-bandiera appartengono al passato, nel tennis invece, i brand di racchetta non possono lamentarsi delle fedeltà dei loro atleti. La tabella che trovate qui sotto, testimonia che ci sono stati pochissimi cambi di racchetta nel corso degli ultimi anni, che ben 9 degli attuali top 20 ATP e 11 delle top 20 WTA, non hanno mai cambiato marchio nel corso della loro carriera professionistica (o almeno non nell’ultimo decennio) e che solo due giocatori (Novak Djokovic e Gael Monfils) e una giocatrice (Caroline Wozniacki) hanno operato più di un cambio, anche se nel caso del serbo e della danese si è trattato di un ritorno di fiamma.
Ma andiamo con ordine nella nostra ricerca. L’inizio della nuova stagione serve anche a scoprire le carte. Le settimane di pausa invernale sono le uniche dove un professionista si presta a testare nuovi attrezzi e quindi, trovato l’accordo, è in Australia che si evidenziano le nuove acquisizioni. Ebbene, il colpo di mercato lo ha messo a segno Babolat, che ha firmato Dominic Thiem, austriaco, classe 1993, uno dei giovani più interessanti del circuito, strappato a Head. In più, utilizza un telaio della linea Strike, lanciata l’anno scorso e a corto di testimonial quanto a caccia di credibilità. Thiem è giocatore dal futuro (prossimo) piuttosto interessante e gioca un gran bel tennis, elemento fondamentale nella scelta del testimonial di un attrezzo (almeno quanto lo può essere il bell’aspetto nella firma di un contratto di abbigliamento).
In campo femminile, dobbiamo scendere fino alla posizione numero 42, quella occupata da Heather Watson. Anche lei è approdata nella famiglia Babolat.
In entrambi i casi, si tratta di due passaggi interessanti ma che certamente non spostano gli equilibri di mercato, perché tutti i top 20 dei ranking maschile e femminile sono rimasti col brand di racchette che avevano nel 2014. ma perché non ci sono movimenti significativi? E’ sempre e solo una questione di soldi?
“I soldi sono un fattore – spiega Jean-Christophe Verborg, Sports Marketing Director di Babolat, che gestisce anche gli atleti di punta del brand francese – ma non l’unico. La racchetta è una sorta di prolungamento del braccio e quindi difficilmente un top player cambia un attrezzo col quale gioca da diversi anni e col quale ha raggiunto traguardi importanti. Anche noi cerchiamo di fidelizzare il più possibile i nostri atleti, in maniera da tenerli legati il più a lungo possibile, aggiungendo un servizio di assistenza di primissimo livello. anche questo conta, eccome”.
A differenza di quanto accade nel settore abbigliamento dove è il compenso a fare la differenza (ad una nuova girocollo ci si abitua prima che ad un nuovo telaio, e non a caso nel corso delle ultime stagioni hanno cambiato brand campioni come Djokovic, Murray e Berdych), con la racchetta bisogna trovare un corretto equilibrio tra soldi e prodotto. “Ricordo appena Andreas Seppi ha cominciato a utilizzare i nostri attrezzi – dice Mauro Monesi di Pro Kennex -: nel primo torneo, a Sydney, vinse contro Hewitt e Blake. Poi perse al primo turno a Melbourne e rimise tutto in discussione. Non immaginate quanti piccoli dettagli abbiamo dovuto modificare. Però alla fine abbiamo creato un attrezzo come lui desiderava e ora sono nove anni che è nel nostro team. Però, nonostante tutto, ora che sono convinto farebbe un ulteriore salto di qualità cambiando modello, è complicato convincerlo perché le abitudini vincenti sono difficili da modificare”.
Ovvio perché per quanto un brand possa pagare i servizi di un top player, non si arriva a quanto questi può incassare dal prize money dei tornei. Quindi nessuno vuole rischiare di compromettere il rendimento agonistico, nemmeno per un contratto economicamente migliore. Quando a inizio secolo, Marat Safin decise di lasciare Head per un contratto faraonico che gli offrirono dalla Dunlop, si ritrovò in uno stanzino del Foro Italico col suo manager ad applicare un calco adesivo del brand britannico sulla sua Prestige. Dopo pochi mesi, Dunlop decise che vedere il proprio top testimonial giocare con un telaio pitturato di nero era addirittura controproducente ed entrambi optarono per tornare sui propri passi (post scriptum: fino ad una quindicina di anni fa, accadeva che un brand fosse disposto a dare una passata di vernice sull’attrezzo di un concorrente, pur di strappargli un giocatore. Ora paintjob di questo tipo non esistono più, benché i giocatori pro utilizzino spesso telai leggermente diversi e certamente customizzati in peso e bilanciamento, al punto che tutti i brand evidenziano come “il prodotto venduto nei negozi potrebbe differire da quello utilizzato dai testimonial”. Un accorgimento che hanno adottata dopo aver perso diverse cause per pubblicità ingannevole).
Chi l’ha fatto e ci ha guadagnato parecchio è la nostra Sara Errani, la quale, provata casualmente Excalibur, come ha ribattezzato la sua Pure Drive, ha deciso perfino di pagare una multa e lasciare la sua vecchia Wilson. Ed è proprio a questa decisione che concede molti dei meriti per averla trascinata in finale a Roma e Roland Garros e a giocare due Masters WTA. E quest’anno l’ha raggiunta la sua inseparabile Chici, alias Roberta Vinci che ha lasciato la Head Extreme per la Babolat Pure Drive (anche se di lunghezza tradizionale e non longbody come Sarita). Certo, Robertina non è più una top 20 (attualmente è fuori dalle prime 35 giocatrici) ma rimpolpa un cast italiano di Babolat piuttosto interessante, che comprende anche il n.1 azzurro, Fabio Fognini. “Gioco con la Pure Drive da quando ero un ragazzino e non mi ci vedo con nessun’altra racchetta”.
Ma dunque, come fanno i marketing director delle varie aziende a rinnovare il loro parco testimonial? Bisogna puntare solo ed esclusivamente sui giovani e trattenerli fino a fine carriera? “Non stiamo fermi ad aspettare – dice ancora Verborg -: se un giocatore ci interessa epensiamo di avere un prodotto adatto al suo gioco ci facciamo avanti. Però è chiaro che con i giovanissimi è più facile, quindi dotarsi di un buon servizio di scouting è fondamentale”. Un discorso che conoscono fin troppo bene a Lione. A seconda dei narratori, ci si ricorda di Luca Appino, piemontese e predecessore di Verborg in Babolat, che una quindicina di anni fa si trovò davanti ad una scelta difficile: firmare uno dei due ragazzini più promettenti dell’epoca, Rafael Nadal o Richard Gasquet. Quest’ultimo prometteva meglio, ma Appino scelse il maiorchino, di fatto cambiando le sorti future dell’azienda francese. Colpo di gennaio? Colpo di fortuna? Qualcuno insinua che a suggerire la scelta fu Carlos Moya, primo grande testimonial delle racchette Babolat e mentore di Rafa. Comunque sia, è il caso più eclatante di come una scelta possa determinare le fortune di un brand.
Una scelta di cui Babolat avrebbe grande bisogno adesso. Sfogliando i nomi dei top 20, si scopre che Head ha quattro Masters, Wilson ben otto rappresentanti, mentre Babolat si aggrappa al ginocchio di Nadal, agli umori di Jo-Wilfried Tsonga e al nostra Fabio Fognini: un solo top 10, tre soli top 20, con la speranza che il giovane Thanasi Kokkinakis arrivi presto al top. Tuttavia, è indubbio che in questo momento è Head a potersi vantare del miglior parco giocatori, con il numero 1 del mondo Novak Djokovic a guidare il team, composto anche da Andy Murray, Marin Cilic e Tomas Berdych.
Già, perché movimenti nelle prime posizioni del ranking non si vedono da un po’. L’ultimo vero, assoluto colpo di mercato l’ha messo a segno Yonex nel 2009, quando decise di scommettere sui progressi di Stan Wawrinka e lo strappò a Head. Una Head probabilmente sazia dagli ingaggi di Djokovic e Berdych (arrivato quasi per caso da Dunlop). Wilson, che resta il brand numero uno al mondo grazie al mercato americano, si può accontentare del testimonial più invitante, Roger Federer (che ha la pecca di utilizzare una racchetta adatta a pochi eletti) e i tre giocatori che sembrano i più indicati a diventare protagonisti nei prossimi Slam: Kei Nishikori, Milos Raonic e Grigor Dimitrov.
Gli altri marchi devono invece sperare nella crescita di giovani promesse: Head ha puntato su Stefan Kozlov e Alexander Zverev, Yonex su Nick Kirgyos e Borna Coric, Babolat sul già citato Kokkinakis. Staremo a vedere quale scout avrà pescato meglio.
Certo, non si tratta di un cambio di brand ma solo di modello, ma l’aver convinto Rafa Nadal a passare alla versione Play dell’AeroPro Drive (quella col chip che consente di scaricare i dati tecnici della propria prestazione) è sicuramente un “colpo” importante, perché offre una spinta notevole ad un prodotto di nicchia, tecnologico quanto costoso, che aveva bisogna di poter contare sull’appoggio di un top testimonial. E chi meglio di Nadal?
In campo femminile, gli ultimi colpi di mercato li ha messi a segno Babolat, firmando l’anno scorso Caroline Wozniacki, quello prima Eugenie Bouchard e quello prima ancora Sara Errani. Tuttavia, è sempre Head quella che ha compiuto lo sforza maggiore strappando a Prince la giocatrice più famosa, Maria Sharapova che nel 2011, reduce da un infortunio alla spalla, trovo nella Head Instinct il telaio più adatto.
Per il resto, pochi cambiamenti in senso generale, ancor meno che tra gli uomini. In realtà, ci sarebbe una Flavia Pennetta che avrebbe operato più cambi, volessimo considerare una brevissima parentesi in Fischer nel 2004. In realtà il suo unico, vero cambio di rotta è avvenuto nel 2006, col passaggio da Head a Wilson.
Cambiare racchetta è spesso un vezzo a cui ricorrono i giocatori di club, per cercare di migliorare (o anche solo cambiare) il proprio gioco e perché è bello, di tanto in tanto, provare qualcosa di nuovo. La ricerca di attrezzi sempre più performanti è continua e il classico Quarta Categoria deve approfittarne. Ma il fuoriclasse, per una volta fatica più del dilettante perché certi automatismi sono difficili da risettare. Quindi abituiamoci a vedere calciatori cambiare maglia ad ogni stagione e tennisti tenersi la loro racchetta per una vita.
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