Lo scozzese spiega il suo rapporto con gli affari e svela alcuni dettagli interessanti: “In passato ho firmato contratti troppo lunghi che possono condizionare anche 10-12 anni. I giovani tennisti sono circondati da persone che vogliono approfittarne. Lascio lavorare i gestori del Cromlix”. 

Fosse nato da qualsiasi altra parte, non sarebbe così. Ma Andy Murray è lo sportivo britannico più famoso: per questa ragione, ogni sua attività passa sotto un'enorme lente di ingrandimento. Anche i suoi affari sono oggetto di interesse, anche perchè ha spesso cambiato rappresentanti, sponsor, aziende. Adesso lo scozzese ha messo in piedi una compagnia di management: si era stufato di dover lavorare con persone che non conosceva e di cui non si fidava al 100%. In un'intervista molto interessante (e istruttiva) con “Business Life”, lo scozzese spiega il suo rapporto con il denaro e con le varie attività di business. “Quando sei giovane e dai lavoro a una dozzina di persone, non è facile avere a che fare con persone molto più grandi e imporre il tuo pensiero”. Ve la riportiamo: ne vale la pena.

 

In che momento il tennis è diventato anche un business?

Quando avevo circa 19-20 anni. Non mi è piaciuto molto. Mi sentivo spinto da più parti: servizi fotografici, collaborazioni con diversi sponsor, una serie di cose che sono piombate nella mia vita più o meno nello stesso momento. Tutto questo ha condizionato il mio piacere nel giocare a tennis. Non giocavo più soltanto per me stesso, ma c'erano tante persone che traevano benefici dalle mie vittorie. C'era molta più pressione e ho trovato tutto questo abbastanza difficoltoso. Adesso sono passati 7-8 anni, ho imparato a gestire la cosa e accanto a me c'è soltanto gente di cui mi fido. Alla fine si tratta soltanto di uno sport. Gioco perchè amo competere, non lo faccio per i soldi.

 

Sei diventato un piccolo imprenditore quando eri ancora molto giovane. Quali sono state le sfide in questo senso?

E' un punto importante, perchè sono arrivato a dare lavoro a 12, 13, 14 persone. Se ti trovi intorno ai 20 anni lavori con persone molto più grandi di te. Hanno più esperienza e non è facile prendere il comando e dire: “Ehi, voglio che le cose vengano fatte in un certo modo”. E' stata una vera sfida. Non avevo idea di come controllare la cosa, ho avuto diverse conversazioni con parecchie persone.

 

Immagino che tu voglia parlare soltanto di tennis e non di altre cose.

Esatto. Durante l'anno ci sono momenti in cui penso ad altre cose, ma quando sono impegnato nei tornei voglio essere libero da qualsiasi pensiero. E' compito di chi mi sta accanto capire questa cosa e gestirla al meglio.

 

Adesso esiste 77, la tua compagnia di management.

Preferisco lavorare con persone che conosco e con cui mi trovo a mio agio piuttosto che con un'agenzia tradizionale. Sono stato rappresentato da diverse compagnie e ho passato anche le più importanti. Loro ottengono la tua firma e poi mettono al tuo fianco chi preferiscono. Capita di dover lavorare con persone che non hai mai visto. Questo non mi sembrava giusto, allora ho messo in piedi una compagnia tutta mia.

 

Una delle ambizioni della tua compagnia è quella di rappresentare altri atleti britannici?

Giusto. Il mio scopo non è ottenere soldi da altri atleti. L'obiettivo è dare loro la libertà di praticare il loro sport, qualunque esso sia. Quando ero giovane ho commesso un mucchio di errori, così come i miei genitori. Ho dovuto lavorare con persone con cui non avrei dovuto, ho firmato accordi troppo lunghi. Queste cose possono avere conseguenze anche 10-12 anni dopo. Sento di poter consigliare altri sportivi su questi rischi. Bisogna fare le cose nel modo giusto e passare attraverso i canali appropriati. Quando avevo 15 anni mi trovavo in Spagna e i miei genitori non erano presenti: c'erano alcuni agenti che provavano a ottenere la mia firma. Questo è sbagliato. Non è così che bisogna fare. Se oggi un giovane tennista venisse da me, anche se non volesse firmare per la mia agenzia, vorrei dirgli: “Stai attento, là fuori ci sono molte persone che proveranno a trarre vantaggio da te, soprattutto se sei giovane”.

 

Pensi che oggi Andy Murray sia diventato un marchio?

Negli anni ho imparato che voglio solo essere me stesso. Non voglio fare e dire le cose giuste solo per avere soldi. Quando avrò smesso vorrò guardarmi indietro e poter dire che ho fatto le cose a modo mio. Non voglio essere quello che non sono solo per far contento qualcuno. Si, potrei essere un brand, ma non faccio le cose per soddisfare gli altri.

 

Quanto interesse dedichi a quello che succede ai tuoi soldi?

Abbastanza. Ogni paio di mesi mi riunisco con Neil Granger, è lui che gestisce il mio denaro. Lavoro con lui sin da quando ho 18 anni. Lavora nel tennis da parecchio tempo. Parliamo dei possibili investimenti, poi delle spese come voli, camere d'albergo e tutto il resto. Non soltanto per me, ma anche per il mio team.

 

In termini di investimenti, segui con interesse come vengono investiti i tuoi soldi e con chi?

Non capisco nulla di azioni e mi sento un po' a disagio dopo quello che è accaduto qualche anno fa. Mi fido di chi mi sta accanto e sono convinto che prendano le giuste decisioni. Se si tratta di qualcosa con cui non sono d'accordo, ovviamente esprimo il mio parere.

 

Di recente ti sei interessato al crwodfunding. Di cosa, in particolare?

Credo che sia un settore molto interessante. Essere un vettore affidabile per le imprese britanniche e gli imprenditori in modo innovativo è qualcosa che mi attrae. Ci sono tante idee e persone di talento. Ho già investito in una piattaforma di crowdfunding e credo che il rapporto crescerà nei prossimi mesi. Seguitemi!

 

Sai anche diventato un albergatore dopo l'acquisto del Cromilix House vicino a Dunblane. Come sei arrivato a questo acquisto?

E' il posto dove i miei nonni hanno festeggiato le nozze d'oro e dove si è sposato mi fratello. 9-10 mesi dopo il suo matrimonio, mia mamma mi ha detto che era in vendita. Al momento non ci pensavo, ma ho avuto alcune chiacchierate sulla possibilità di acquistarlo e trasformarlo in un hotel. La famiglia che lo stava vendendo ci ha detto che, se possibile, avrebbero preferito lasciarlo a qualcuno del posto. Così mi è sembrata una buona cosa da fare. Non capita spesso di poter fare qualcosa per la propria comunità.

 

Qual'è il tuo coinvolgimento nel progetto?

Ad essere onesti, non molto! Ma non voglio neanche, ora è partito ed è funzionante. C'è una compagnia che lo gestisce ed è la loro professione. Io non saprei come gestire un albergo. Mi tengono aggiornato su tutto quello che succede, ma non li chiamo in continuazione. Preferisco non essere un proprietario fastidioso e dire loro cosa devono fare. Sono sicuro che se qualcuno di loro provasse a dirmi qualcosa sul tennis, lo troverei abbastanza strano. Sono felice di lasciarli lavorare e so che lo stanno facendo bene.

 

Hai idea di cosa avresti fatto se non avessi sfondato nel tennis?

No. Sono stato fortunato a sfondare, altrimenti avrei lasciato la scuola senza nessun titolo. Tutto quello che ho ottenuto nella mia vita, anche in termini di conoscenza ed esperienza, è arrivato grazie al tennis. Mi sono trasferito in Spagna quando avevo 15 anni e ho viaggiato in tanti paesi. Ho vissuto in parecchie nazioni. Così, se avessi avuto un infortunio da mettermi a repentaglio la carriera, non so cosa avrei fatto. Mi fa un po' paura. Se potessi tornare indietro, finirei il mio percorso di studi in modo da avere un'alternativa se qualcosa fosse andato storto.

 

Quali alternative?

Buona domanda. Non sono sicuro, ma credo che i prossimi anni saranno molto importanti per me. Devo pianificare il futuro e capire cosa fare dopo il ritiro. Da quando ho 17 anni, tutto quello che ho fatto è stato giocare a tennis. Tutto il resto è arrivato di conseguenza. Mi piacerebbe provare qualcosa di diverso dopo il tennis, ma non ho ancora le idee chiare.