Leader mondiale di interventi chirurgici, Brian Baker si è tolto lo sfizio di giocare le Olimpiadi ma è convinto che la sua avventura non sia ancora finita. I buoni risultati nel circuito Challenger (anche in doppio) lo hanno convinto ad andare avanti e a mostrare un vivo ottimismo. Una testardaggine da ammirare.

Non gli hanno mai presentato la rassegnazione. Qualcuno aveva pensato che le Olimpiadi di Rio de Janeiro fossero il canto del cigno nella carriera di Brian Baker, invece c'è ancora un capitolo da scrivere. Dopo tante sfortune, si è tolto la soddisfazione di indossare la tuta della nazionale olimpica, godersi la cerimonia d'apertura e vincere una partita (in doppio, insieme al vecchio amico Rajeev Ram). In fondo era stato fermo oltre due anni e il rientro nel 2016, nonostante un ranking protetto, non gli aveva regalato granché. E invece no, Brian è ancora qui. Vincendo qualche partita qua e là nei tornei Challenger (la semifinale a Lexington e i quarti a Champaign sono stati i migliori risultati) si è costruito un ranking dignitoso e si è iscritto alle qualificazioni dell'Australian Open 2017. In questo momento è fuori, ma la storia insegna che il cut-off si alza paurosamente nei giorni precedenti all'evento. Per questo, il numero 246 ATP potrebbe essere sufficiente. E comunque il nuovo Baker si è scoperto ottimo doppista. Ha chiuso l'anno vincendo cinque tornei consecutivi, con 22 vittorie di fila. La serie si è interrotta a Knoxville, dove lui e Sam Groth si sono arresi in semifinale. Però ha conquistato i top-100 nel ranking di specialità e così potrà continuare a frequentare i grandi tornei. La sua storia è nota: nato a Nashville, Tennessee, città dei Country Music Awards, è stato una grande promessa junior ma ben presto ha dovuto fare i conti con un fisico di cristallo.

IL GUSTO DI GIOCARE A TENNIS
Da quando è diventato professionista, si è sottoposto alla bellezza di 10 interventi chirurgici a fianchi, gomiti, schiena e ginocchia. “Il che mi ha permesso di avere una prospettiva migliore rispetto agli altri” dice Brian, assente dal 2007 al 2011, periodo in cui ha fatto il coach presso la Belmont University e giocava qualche torneo a tempo perso, ma solo su scala locale. Poi, però, ha scelto di riprovarci e in 18 mesi ha effettuato una scalata miracolosa, vincendo quattro Challenger e raggiungendo la sua unica finale ATP (Nizza 2012, sulla terra battuta). Come se non bastasse, ha centrato gli ottavi a Wimbledon ed è salito al numero 52 ATP. Ma la sfortuna non si era dimenticata di lui: all'Australian Open 2013 si è procurato uno strappo al menisco laterale ha lasciato il campo in sedia a rotelle. Sembrava l'immagine simbolo del suo addio, invece è andato nuovamente in sala operatoria e ha messo l'ennesimo cerotto a un fisico ormai martoriato. Nelle due stagioni saltate per intero (2014 e 2015) ci sono stati momenti in cui ha pensato di abbandonare il professionismo, specie quando i medici gli davano una brutta notizia dopo l'altra. Forte di una laurea in economia, ha continuato ad allenarsi e quest'anno è ripartito. Una serie di forfait gli hanno consentito di giocare le Olimpiadi (sia in singolare che in doppio), poi ci ha preso gusto: per poco non batteva Delbonis allo Us Open (ha perso soltanto per un crollo fisico dopo aver vinto i primi due set) e ha proseguito con un'intensa attività nei tornei Challenger. “Sono entusiasta di poter giocare di nuovo – ha detto Baker, oggi 31enne – sto ancora migliorando, settimana dopo settimana. Il meglio deve ancora venire”. E se lo dice lui….