E’ passato esattamente un anno da quando, semi-nascosti in un ex Monastero a Dossobuono di Villafranca, in provincia di Verona, i componenti del Tribunale Federale non ammettevano TennisBest a una delle ultime udienze del procedimento sportivo, che poi si sarebbe chiuso con una radiazione per Daniele Bracciali e Potito Starace. Da allora è successo un po’ di tutto: i giudici successivi hanno scelto la via della trasparenza, aprendo le udienze alla stampa, e abbiamo potuto raccontare genesi e sviluppo delle successive tre sentenze. La vicenda sportiva si è ribaltata, con il proscioglimento di Starace e un anno di squalifica a Bracciali (peraltro agli sgoccioli: scadrà tra una decina di giorni): Ma il caso che nell’ottobre del 2014 si è preso prime pagine, titoloni dei giornali e ha riempito la bocca di appassionati e occasionali, non è ancora finito. C’è un processo ordinario da svolgersi, anche se siamo alle battute iniziali. Dopo il nulla di fatto dello scorso 18 maggio (udienza rinviata per un vizio di notifica), il primo atto dell’Udienza Preliminare si è tenuto mercoledì presso il Tribunale di Cremona dinnanzi al GUP Letizia Platé (riquadro nella foto in alto). E ci sono già i primi colpi di scena. Dei sei imputati del filone tennis della maxi-inchiesta condotta da Roberto Di Martino, in tre hanno deciso di patteggiare. Si tratta di Manlio Bruni, Francesco Giannone ed Enrico Sganzerla, tutti commercialisti (i primi due di Bologna, Sganzerla di Verona) che avrebbero tratto guadagni illeciti dalle scommesse, conoscendo in anticipo i risultati grazie alla complicità di Bracciali e Starace. La loro posizione è stata già separata dagli altri imputati: sarà il giudice Christian Colombo, il prossimo 22 settembre, a chiudere la loro vicenda processuale. Voci di corridoio sostengono che Sganzerla patteggerebbe 8 mesi (su di lui incombe già una condanna di 5 anni, in appello, per il tentato omicidio della ex fidanzata), Bruni 5 mesi e Giannone ancora meno. Non esattamente pene pesanti per il teorema accusatorio di Roberto Di Martino, il quale ha definito da tempo gli illeciti come “associazione a delinquere con finalità di frode sportiva”. Al contrario, Daniele Bracciali, Potito Starace e Roberto Goretti (attuale direttore sportivo del Perugia Calcio) affronteranno l’eventuale processo. Per loro tre, il GUP ha aggiornato l’udienza al prossimo 1 luglio.
L’udienza del 15 giugno non è entrata nel merito della vicenda, ma si è focalizzata su aspetti puramente formali. La cosa non sorprende, visto quanto accaduto nelle varie udienze del Processo Sportivo. Le difese avevano chiesto uno spostamento del processo presso un altro tribunale: Bologna o Arezzo. Cerchiamo di capire perché: la competenza territoriale per un processo di questo tipo si stabilisce secondo alcuni principi:
Il luogo dove viene costituita l’eventale associazione a delinquere
Il luogo dove opera
Se si è costituita all’estero, il primo luogo dove è stata scoperta
Secondo le difese, Bologna (dove risiede Manlio Bruni, e da dove sono partite le sue scommesse) e Arezzo (dove risiede Bracciali: tra l’altro, in un verbale Manlio Bruni ha parlato di una presunta cena ad Arezzo, cui avrebbero partecipato anche Roberto Goretti e Potito Starace) avrebbero avuto ben altra competenza territoriale rispetto a Cremona. L’eccezione è stata respinta dal GUP. Motivo? I luoghi dove si sono create e sviluppate le presunte associazioni a delinquere sono sconosciuti. Dunque, si resta a Cremona. Il processo non sembra interessare granché i media (salvo quelli locali), ma attira – e molto – gli enti di governo dello sport. C’è una specie di processione per costituirsi parte civile: ci hanno provato il CONI (tramite l’avvocato David Aiello) e la FIT (tramite l’avvocato Virginia Comitini), ma soltanto il Comitato Olimpico Nazionale Italiano potrà prendere parte all’udienza preliminare. Tenuta fuori la FIT, che però potrà ripresentare domanda di costituzione se dovesse esserci il rinvio a giudizio. Faranno altrettanto le istituzioni internazionali: a Cremona c’erano sia la Federazione Internazionale che la Tennis Integrity Unit, rappresentate da tre avvocati (Luca Genesi, Remo Pannain e Massimo Sterpi). Circola voce che la stessa ATP possa eventualmente costituirsi quando si arriverà a processo. La sensazione è che il rinvio a giudizio ci sarà, se non altro per l’enorme polverone mediatico scatenato dalla vicenda. Le accuse mosse agli imputati sono ben note: dal 2007 al 2011, i tennisti avrebbero combinato un buon numero di partite per consentire guadagni “sicuri” alla rete di scommettitori. Le partite incriminate sono ormai ultra-famose: Bracciali-Jenkins a Newport 2007 (la chat tra l’aretino e Bruni ci fu davvero, ma non esiste prova di combine, almeno secondo le nostre informazioni), Starace-Brands a Monaco di Baviera 2009 e Starace-Gimeno Traver a Barcellona 2011. Secondo la Procura, tuttavia, sarebbero parecchi i tornei in cui si era ventilata l’ipotesi di coinvolgere Starace: Bucarest, Stoccarda, Acapulco e Valencia nel 2007, Amburgo e Wimbledon (!) nel 2008, Wimbledon (!!) nel 2009, oltre a Santiago, Nizza e Amburgo nel 2010.
Nulla di nuovo per chi ha seguito la vicenda, se non una postilla segnalata da “Cremona Oggi”. Secondo la testata lombarda, la Procura avrebbe una prova di un contatto diretto tra Starace e lo studio dei commercialisti Bruni-Giannone. Il campano avrebbe inviato a entrambi alcuni messaggi in chat nel 2010. Tale elemento non era mai emerso, tant’è che la difesa di Starace ha sempre puntato molto sulla totale assenza di contatti tra il presunto clan e il loro assistito. Ovviamente l’informazione è tutta da verificare. Le notizie peggiori, per Bracciali e Starace, arrivano dall’ATP. Nonostante l’assoluzione nel processo sportivo, la loro partecipazione ai tornei del circuito è ancora sospesa. Nel Rulebook ATP, infatti, esiste una regola secondo cui l’ATP ha la facoltà di sospendere un giocatore se implicato in un procedimento civile o penale. E’ una mazzata terrificante per le carriere di “Braccio” e “Poto”: visti i tempi piuttosto lunghi della giustizia italiana, la sospensione fino al pronunciamento del Tribunale equivale a una condanna, un ritiro anticipato per due giocatori di 38 e 35 anni. La norma di riferimento è la 8.04/A/2/b dell’enorme Rulebook ATP (la trovate a pagina 178). Non esiste l’obbligo di sospendere il giocatore, bensì una semplice facoltà. L’ATP ha deciso di esercitarla e non sembra interessata alle tempistiche della giustizia italiana. Insomma: se un tennista è indagato per doping può continuare a giocare fino a quando non viene condannato, mentre se uno ha una causa nel suo paese può essere fermato. E se tra 2-3-4 anni Bracciali e Starace fossero assolti dalle accuse, chi li ripagherà dell’enorme danno subito? Impedendo loro di giocare l’ATP si assume una responsabilità importante. Probabilmente sarebbe stato meglio lasciarli giocare ed eventualmente punirli severamente in caso di sentenza di colpevolezza, ma così si trancia la carriera a due tennisti senza avere la certezza della loro colpevolezza, né il supporto di una sentenza (se non quella sostanzialmente assolutoria della giustizia sportiva). E’ davvero giusto? Per adesso, potranno effettuare la sola attività nazionale: se Starace ci dà dentro con il paddle, rivedremo Bracciali in Serie A1: l’aretino si è accasato con il Tennis Club Sinalunga, che si è assicurato anche le prestazioni di Lukasz Kubot e dell’altro polacco Kamil Majchrzak.