FED CUP – Le affascinanti storie di Jamie Hampton e Varvara Lepchenko. Una ha giocato 4 anni col polso infortunato, l’altra ha chiesto asilo politico agli Stati Uniti. Sono entrambe all’esordio. 
Jamie Hampton inaugurerà la serie contro Sara Errani….
(Foto Costantini – FIT)

 
Dall’inviato a Rimini, Riccardo Bisti – 9 febbraio 2013

 
“Penso di poter fare un po’ di tutto sul campo da tennis. Posso giocare in attacco, posso giocare in difesa. Posso servire bene e anche rispondere bene. Se il piano A non funziona ho sempre una strategia di riserva”. No, non è Roger Federer. A parlare è Jamie Hampton, (possibile) spauracchio dell’Italia di Fed Cup. Dopo averla testata in questi giorni sulla terra del 105 Stadium, Mary Joe Fernandez l'ha scelta come seconda singolarista di un team americano pieno di assenze. Jamie non ha mai giocato in Fed Cup, ma appena tre settimane fa ha fatto tremare tutta Melbourne, quando per un set ha ridicolizzato Victoria Azarenka prima di arrendersi ai dolori alla schiena. Non più giovanissima (ha compiuto 23 anni l’8 gennaio), è una sorpresa solo per chi non l’ha mai vista. Perché Jamie, viso orientale e figlia di un membro dell’esercito americano, a tennis gioca benissimo. Idoli? Adora Federer e Nalbandian. Come stile, assomiglia proprio all'argentino. Come lui, sa trovare soluzioni geniali e trasmettere un senso di impotenza agli avversari. Nata in una base americana a Francoforte, in Germania, Jamie è cresciuta in Alabama salvo poi trasferirsi ad Atlanta, dove si allena presso un club di proprietà di Robby Ginepri ("Ogni tanto ci alleniamo insieme e mi prende a calci nel sedere!"). Da quelle parti bazzica anche Melanie Oudin, sua grande amica a cui ha scippato il posto in singolare. La sua storia è costellata di infortuni, uno su tutti: a 15 anni si è fatta male al polso e ha convissuto col problema per ben 4 anni. A un certo punto si è stufata e ha deciso di operarsi. Durante l’Australian Open abbiamo appreso che ha ben due ernie al disco. “Forse non dovrei dirvelo, ma è così”. Sempre dopo l’Australian Open, ha ammesso che questo genere di problemi le arrivano soprattutto durante i match importanti (lo scorso anno si è addirittura ritirata dal Roland Garros). La Errani dovrà puntare su questo: stancarla, farla correre e metterle pressione addosso. Magari può arrivare un aiuto dal fisico malandato di Jamie.
 
Chi non dovrebbe avere problemi fisici è un piccolo carrarmato di nome Varvara Lepchenko. A differenza della Hampton, non è così divertente da vedere. Picchia duro ed è anche un po’ tracagnotta. Ma i risultati le danno ragione. E anche la sua storia è bella e interessante. Aveva bisogno di un’identità, la piccola Varvara. E’ nata e cresciuta in Uzbekistan, ma non si sente uzbeka. “Non conosco la loro lingua, non osservo le loro tradizioni. Sono figlia di ucraini, ma non mi posso definire tale perché sono stata in Ucraina solo una volta”. La sua vera patria sono gli States. E’ così perché ad Allentown, in Pennsylvania, ha trovato un senso di accettazione che nessuno le aveva mai trasmesso. Tutto è nato nel 2001, quando la federtennis uzbeka non le voleva far giocare un torneo junior negli Stati Uniti. Gli americani hanno provato a darle una mano, ma non ci fu niente da fare. Però decise di restare lì e non tornare più a casa. Scelta difficile, perchè per quattro anni non ha potuto prendere contatti con il suo paese in virtù dello status di rifugiata politica. E’ stata dura, perché per quattro anni non ha potuto vedere mamma Larisa (è andata negli States solo con papà Peter e la sorella Jane), e non poteva nemmeno abbandonare il paese, con più di un problema per la sua carriera (poteva giocare solo negli Stati Uniti). Nel 2006 le hanno dato le residenza e – finalmente –  il 24 settembre 2011 la cittadinanza. Lei non lo sapeva, lo ha scoperto su Twitter leggendo i cinguettii della USTA. Per questo Varvara è molto più americana di tante persone nate e vissute nel paese di Obama. Ha giocato le Olimpiadi e adesso ha una gran voglia di difendere il paese che l’ha salvata e adottata.
 
Queste due giovani donne, emerse da storie difficili e particolari, non hanno mai giocato in Fed Cup. Eppure Mary Joe Fernandez, ottimo capitano (non potrebbe essere altrimenti se raggiungi due finali consecutive con Oudin, Vandeweghe e Glatch), ha letto nei loro occhi qualcosa di importante. Meglio due ragazze motivate che una Williams rotta e l’altra svogliata. O una Sloane Stephens dolorante e inebriata dai successi australiani. E allora via, in campo senza nulla da perdere. “E’ successo tante volte che noi fossimo sfavorite, meno spesso di essere favorite. Nelle gare a squadre possono succedere cose pazze. Speriamo che possa essere così anche stavolta”. Hanno detto la loro sullo status di sfavorite anche le dirette interessate: “Se mi può aiutare? Forse – dice la Hampton – più che altro spero che il mio gioco possa essere una sorpresa”. “In passato mi ha aiutato più di una volta essere sfavorita, chissà che non possa succedere anche stavolta” ha concluso la Lepchenko. Italia più forte, favorita, potenza mondiale…bla, bla, bla. Tutto vero, ma occhio all Giovine America della garibaldina Fernandez.
 
…a seguire, scenderanno in campo Vinci e Lepchenko
(Foto Costantini – FIT)