Alex ha raggiunto il primo quarto di finale nella sua Adelaide ma nel 2016 aveva abbandonato il tennis per lavorare come muratore. Adesso l’obiettivo è avvicinare la top-100
Dall’autografo di Djokovic al centrale di Adelaide
Cinquantacinque minuti e uno score incassato abbastanza pesante ma nulla potrà macchiare una settimana dal sapore di rivincita su se stessi. E’ la storia di Alex Bolt, dominato dal Next Gen canadese Felix Auger-Aliassime ma con un nuovo mattoncino aggiunto nella sua carriera che a un certo punto sembrava non poter affatto decollare. Il mancino australiano classe 1993 si è tolto la soddisfazione di raggiungere il suo primo quarto di finale sul circuito maggiore ad Adelaide, a poco meno di 80 km da Murray Bridge, la città in cui risiede. Per Bolt si tratta di un vero e proprio torneo casalingo cui ricollega uno dei momenti più significativi della sua adolescenza. Il giovane Alex girovagava su questi campi da spettatore nel 2007 alla ricerca di un autografo di Novak Djokovic, anno in cui il serbo si impose in finale sull’australiano Chris Guccione. “Sognavo da sempre di giocare qui – ha spiegato Alex parlando di quella semplice firma di Nole come un segno del destino e una fonte di ispirazione – Era l’inizio della sua ascesa, ma anche vedere un australiano in finale fu per me stimolante: in quel momento presi la decisione di voler diventare un professionista“.
Gli infortuni, il break dal tennis e un lavoro da muratore
Non sempre, però, le cose vanno per il verso giusto. Nel 2014 arriva la prima vittoria a livello Challenger, nel 2015 il primo main draw in un Masters 1000 (a Indian Wells) e il best ranking al numero 160 della classifica Atp. Poi arrivano i problemi fisici e un 2016 chiuso già a marzo: Bolt decide di dover prendersi una pausa dalla racchetta, di azzerare tutto: “Non mi divertivo più, mi sedetti un paio di volte a tavolino con il mio allenatore ed entrambi decidemmo di prendere una pausa dal tennis“. Alex stravolge la sua vita cambiando completamente lavoro: “Mio cognato mi diceva di aver bisogno di una mano, ho deciso di provare. Sveglia alle 5.00 per iniziare alle 6.00, scavare, piantare pali e cementare. Alcuni giorni erano davvero duri e faticosi ma ho fatto ciò che dovevo fare e credo sia stata la decisione migliore della mia vita, non solo riguardante il tennis“, dice Bolt guardando con orgoglio alla sua parentesi da muratore. La pausa dalla racchetta dura nove mesi ma nel frattempo l’aussie non perde il filo conduttore che lo lega allo sport dando sfogo alla sua grande passione per il calcio australiano e giocando a livello amatoriale con il River Murray Football League. La rinascita di alcuni connazionali come Ebden, Thompson e Millman (tutti entrati in top-100) dà però uno stimolo in più a Bolt: “Decisi di darmi un’altra chance prima che fosse troppo tardi”.
Il ritorno e la seconda carriera
Il 2017 segna dunque l’anno della svolta. Rientrato a gennaio nel Challenger di Happy Valley, Bolt centra la qualificazione e si spinge sino al secondo turno del tabellone principale. Un’importantissima iniezione di fiducia che lo lancia verso le quali degli Australian Open, superate con carattere e contro avversari non affatto scontati del calibro di Copil, Bachinger e Benneteau. A questo punto per Alex si spalancano le porte del primo Slam, quello casalingo, il più bello per ogni tennista australiano. Un sogno che si realizza e apre a scenari inattesi (“Non avrei mai pensato di riprendere la racchetta in mano”, raccontava) per una seconda carriera pronta a spiccare il volo. Melbourne, di anno in anno, diventa il termometro della sua crescita: nel 2018 viene ‘ripescato’ da Lleyton Hewitt in persona dopo la sconfitta in finale nel torneo che metteva in palio una wild card contro il diavolo De Minaur. Per il capitano di Davis sarebbe stato un peccato mandare in fumo una ‘candidatura’ così interessante per il main draw alla luce del livello espresso da Bolt, sconfitto poi solamente al quinto set da Troicki al primo turno. E’ nel 2019, però, che Alex compie il proprio capolavoro issandosi sino ai sedicesimi con gli scalpi di Sock e Simon prima di arrendersi a Zverev. Tra pochi giorni ci riproverà, forte del primo quarto Atp raggiunto nella sua Adelaide e di un ingresso in top-100 non utopico con un pizzico di continuità nell’arco della stagione. Per aggiungere ancora qualche altro mattoncino, questa volta con una racchetta al posto della cazzuola.