L'INTERVISTA – Il Sud America lo ha aiutato a rinascere: moglie uruguaiana e il lavoro infernale con l'argentino Eduardo Infantino: Simone Bolelli è un giocatore nuovo e ha ritrovato obiettivi che sembravano perduti. Proverà a conquistarli dopo la separazione con Giancarlo Petrazzuolo.  

(*) Come moglie ha una bellissima modella sudamericana, Ximena, vive in un appartamento a Monte Carlo a due passi dalla spiaggia e in carriera ha guadagnato tre milioni e mezzo di dollari in soli montepremi. Detta così, la vita di Simone Bolelli, 29 anni da Budrio, provincia di Bologna, sembra un paradiso. Invece, per guadagnarsela (non solo Ximena…) ha dovuto superare tanti ostacoli: dalla brutta querelle con la Fit nel 2008 con la minaccia di non giocare più la Coppa Davis all’infortunio al polso che l’ha tenuto lontano dai campi per sei mesi nel 2013. Il tutto mentre tanti lo indicavano come il messia del nostro tennis. A buttarla lì, aveva cominciato addirittura Roger Federer: “Per come gioca a tennis, potrebbe stare nei primi dieci giocatori del mondo". Bolelli l'ha sentito ripetere da coach, addetti ai lavori e semplici appassionati, ammirati da una capacità esecutiva con pochi paragoni. Ma forse la sua storia serve a dar ragione ad uno che la vetta del ranking mondiale l’ha davvero raggiunta, Juan Carlos Ferrero: "Il tennis è un gioco mentale per il 50%, fisico per il 45% e tecnico per il 5%”. Ecco Bolelli è sempre stato accusato di essere troppo lento e troppo buono per arrivare in alto, dove servono sprint e cattiveria. Poi ci si è messo anche un brutto infortunio al polso, un anno (2013) trascorso tra fisioterapisti e manipolatori, prima ancora che sul campo. Solo l'anno scorso è tornato tennista a tutti gli effetti, risorto dopo un calvario durato ben più di tre giorni. E con la maturata convinzione che Roger Federer potesse anche aver ragione. Adesso prova a ripartire dopo l'ennesimo cambio: pochi giorni fa ha terminato la collaborazione con Giancarlo Petrazzuolo, che viaggiava con lui da ormai un paio d'anni.

 

Quando hai capito che saresti tornato ad alti livelli?

Già l’anno scorso mi sentivo molto bene, perché l’obiettivo era tornare nei top 100 e ci sono riuscito in cinque mesi. Chiudere nei top 50 mi ha dato fiducia e convinzione di poter superare certi limiti.

 

Qual è stato il momento di maggior frustrazione in questo periodo di rinascita tennistica?

Quando tutti mi dicevano che non avevo niente e invece io sentivo un male pazzesco al polso. Non capivo cosa stesse succedendo ed è la sensazione peggiore per uno sportivo che vive del suo fisico. Superata la riabilitazione invece, sono sempre stato molto tranquillo, non mi sono messo pressione. Certo, aver conquistato subito qualche buon risultato ha molto aiutato. Il doppio vinto in Coppa Davis contro l’Argentina è stato fondamentale in termini di fiducia.

 

Chi ti ha particolarmente aiutato?

E’ stato un lavoro di squadra: dal 2014 mi ha accompagnato nei tornei Giancarlo Petrazzuolo, che aveva la qualità di farmi rimanere tranquillo e il preparatore atletico, Carlo Ragazzi: è grazie a lui se sono migliorato atleticamente. Però devo ringraziare soprattutto Eduardo Infantino, il responsabile del settore tecnico nazionale: mi ha preso che ero distrutto, dopo due anni non entravo nei top 100, e mi ha letteralmente rivitalizzato.

 

Come?

Mi ha sfondato, c…! Sono andato da lui in Argentina e mi ha rivoluzionato il modo di lavorare, di correre, di colpire. Mi ha limato tutti i colpi: dritto, rovescio, servizio. E tanto lavoro in campo per migliorare gli spostamenti, le giocate e l’aspetto tattico. Capisci che si può sempre migliorare, a qualsiasi livello.

 

Ma allora è vero che in Argentina c’è una mentalità migliore?

Di sicuro lavorano molto duro: cominciavo alle 7 del mattino e finivo alle 9 di sera. I primi giorni sono un inferno, poi quando prendi il ritmo ti senti un toro. Hanno una fortissima dedizione al lavoro.

 

Quali differenze hai ritrovato nel circuito pro?

I top players son sempre quelli, ma dietro il livello medio si è molto alzato. Il gioco è diventato ancora più veloce e la condizione atletica è fondamentale. Io non mi muovevo benissimo ma ora ho imparato a correre verso il dritto e a difendermi meglio dal lato del rovescio: per riuscirci però, ho lavorato tantissimo in campo.

 

Con Fabio Fognini hai vinto l’Australian Open in doppio: quanto questa specialità è un aiuto?

A parte il lato economico che non è da sottovalutare, credo che vincere aiuti a vincere. La priorità rimangono i tornei di singolare, ma abbiamo cominciato benissimo la stagione, probabilmente ci qualificheremo per il Masters ma il doppio deve rimanere un bonus. Sia io sia Fabio non pensiamo certo di trascurare il singolare per il doppio. 

 

 
Pure Roger Federer disse che avevi un tennis da top 10: che effetto fa sentirselo ripetere di continuo, senza ancora esserci mai arrivato?

Per adesso è un traguardo che vedo ancora molto lontano. L’obiettivo a lungo termine è arrivare lì o comunque nei dintorni, ma senza mettermi pressione. Per prima cosa devo migliorare il mio gioco, il resto si vedrà.


Tu, Fognini e Seppi siete amici ma lottate anche per il primo posto del ranking italiano: è un obiettivo che interessa e c’è un po’ di rivalità in questo senso?

Essere vicini nel ranking è una situazione che fa gioco a tutti e tre, perché è uno stimolo a livello agonistico. Prendi gli australiani: è esploso Kyrgios e, guarda caso, si è svegliato anche Tomic ed è cresciuto Kokkinakis. Però a livello personale non ci sono gelosie: sono contento se Andreas vince, sono contentissimo se ci riesce Fabio.


E a proposito di giovani: i nostri sono ancora così lontani dal livello mostrato da tanti loro coetanei?

A livello internazionale posso dire che Kyrgios è fortissimo e gioca un gran bel tennis, che Kokkinakis è buon giocatore ma non dello stesso livello, che Coric è un gran lottatore ma a livello tecnico non mi fa impazzire, che Zverev serve benissimo e potrà diventare molto forte e che i nostri hanno un certo potenziale ma per adesso sono ancora piuttosto indietro rispetto a questi altri.


Da anni vivi a Monte Carlo: com’è la vita nel Principato?

Puoi fare una vita molto mondana o molto tranquilla: io sono per la seconda e fortunatamente anche mia moglie la pensa come me! Cinema e ristoranti: da Planet Sushi al porto, da Pino per la pizza e la pasta… almeno quella ce la cuciniamo in casa.

 

Ti sei anche sposato giovane: funzionala vita matrimoniale?

Funziona molto bene perché abbiamo le stesse abitudini e gli stessi interessi che sono fondamentali per stare bene insieme. Per esempio, se volesse andare in discoteca sarebbe dura: io non ce la faccio più a fare le tre del mattino! Viviamo alla grande in tre: io, Ximena e Chichi, il nostro inseparabile cagnolino. 

 

E magari tanti altri giocatori che risiedono per vari motivi nel Principato?

Djokovic torna spesso a Monte Carlo, altri so che hanno preso la residenza ma non è che li abbia visti molto…

 

Quanto sono importanti i soldi?

Il tennis è uno sport individuale dove guadagni tanto ma spendi anche parecchio, quindi una certa sicurezza economica è fondamentale perché ti permette di investire in allenatore, sede di allenamenti, fisioterapista, eccetera.

 

E c’è l’obiettivo di finire la carriera senza dover più lavorare…

Per quello bisogna averne fatti veramente tanti! Chiaro, l’obiettivo è guadagnare il più possibile, ma in ogni caso farò qualcosa perché non mi ci vedo a stare in spiaggia tutto il giorno. Magari per un annetto…

 

Anni fa sei stato coinvolto in una polemica con la Federazione non particolarmente piacevole che per alcuni ti ha danneggiato notevolmente: credi che la tua carriera avrebbe preso una piega diversa senza quella querelle?

Non credo abbia influito così tanto. E’ stato un episodio negativo al quale ormai non penso più, ma non credo proprio che mi abbia cambiato la carriera. Spero invece di farla svoltare adesso: l’impegno, la dedizione e la convinzione non mancano e il primo obiettivo è migliorare il mio best ranking (n.36 nel 2009 n.d.r.).

(*) Intervista pubblicata l'11 aprile su Sport Week, magazine settimanale della Gazzetta dello Sport