Decisamente negativo il bilancio della prima edizione del torneo colombiano: modesto parco giocatori, poco pubblico e biglietti troppo cari alimentano più di un dubbio.
Le buone prestazioni di Alejandro Falla non hanno scaldato più di tanto il pubblico colombiano
Di Riccardo Bisti – 24 luglio 2013
I soldi non fanno la felicità. A quanto pare, non fanno neanche il successo di un torneo ATP. La scorsa settimana, oscurata dalle imprese di Fognini ad Amburgo, si è giocata la prima edizione del torneo ATP di Bogotà. I colombiani, con una maxi-offerta, avevano strappato la licenza allo storico evento di Los Angeles. La Colombia aveva un torneo ATP fino a una decina d’anni fa (sul rosso), ma la crisi e le politiche ATP lo avevano fatto scomparire. Adesso, con la forte ripresa del Sud America, è tornata nella geografia del calendario. Sul piano agonistico, le cose sono andate piuttosto bene. C'è stata la bella storia di Ivo Karlovic (già trionfatore al secondo torneo dopo la meningite virale che ne aveva messo a repentaglio vita e carriera). Il pubblico di casa ha avuto un colombiano in finale, Alejandro Falla, che però si è dovuto arrendere al bombardamento del croato. Sono ormai 18 anni che la Colombia non vince un titolo ATP: l’ultimo fu Mauricio Hadad, vincitore sulla terra verde delle Bermuda nel 1995. Tuttavia, ci sono altri aspetti che hanno reso il torneo tutt’altro che un successo. In primis, c'era un campo di partecipazione modestissimo: sono andati in Colombia soltanto due top-50 (Janko Tipsarevic e Kevin Anderson, non esattamente due trascinatori) e il buon Edouard Roger Vasselin, numero 70 del mondo, era accreditato addirittura della quarta testa di serie. C’è un problema: Bogotà è “fuori stagione” per buona parte dei giocatori. I terraioli restano in Europa per gli ultimi tornei sul rosso, mentre gli americani preferiscono rifinire la preparazione in vista dei tornei di casa, magari giocando il World Team Tennis. Per questo, il cut-off (il “taglio” tra gli ammessi in tabellone e tutti gli altri) era degno di un challenger. L’ultimo ad entrare nel main draw è stato l’australiano James Duckworth, numero 185 ATP.
Un parco giocatori ancora più debole rispetto a Newport, storicamente uno dei tornei ATP più deboli e frequentato dai soli specialisti dell’erba. Ad ogni modo, in Rhode Island c’erano Querrey, Isner e Hewitt, e il “cut-off” era fissato al numero 140. A Bogotà, a parte i padroni di casa Falla e Giraldo, non c’era un solo giocatore che attirasse sponsor, TV e spettatori occasionali. Evidentemente, nessun top 10 ha accettato l’ingaggio colombiano, o semplicemente non c’erano soldi in cassa. I più forti guadagnano di più, con meno stress, giocando un’esibizione. E la loro presenza in un torneo 250 mette in difficoltà il bilancio dell’evento. A Bogotà c’è poi un fattore ambientale di non poco conto: l’altura. Si gioca a oltre 2.500 metri e spesso i tennisti devono adattarsi a palle volanti e impazzite. Alcuni di loro sembravano avere il mal di montagna. L’altitudine è nemico del buon tennis. C’è poi stato il problema del pubblico: sugli spalti c’era poca gente, persino durante la finale. Il momento più “caldo” è stato quando giocava il doppio Cabal-Farah, mentre gli altri match si sono giocati in un silenzio surreale.
I regolamenti ATP prevedono che un torneo 250 debba raccogliere almeno 17.500 spettatori nell’arco della settimana, oppure il 75% della capienza complessiva. Nel weekend, il campo centrale si deve riempire per almeno il 75% della capacità. Probabilmente Bogotà non ha superato il test. Tutto questo è ancora più deludente nel momento in cui il Sud America è considerato tra i mercati più floridi del tennis. Anche per questo, dall’anno prossimo sarà istituito un torneo 500 a Rio de Janeiro, in sostituzione dello storico evento di Memphis (che resterà vivo, declassato, prendendo il posto di San Josè). Molti ricordano l’impressionante successo del tour sudamericano di Roger Federer, accolto quasi come un papa: significa che la voglia di tennis non manca. Gli organizzatori colombiani devono capire cosa non ha funzionato: la collocazione in calendario, il campo di partecipazione, il prezzo dei biglietti…in effetti, questi ultimi non erano popolarissimi: assistere ai match di secondo turno costava 36 dollari, mentre per la finale si saliva a 85. Qualunque sia la ragione, qualcosa deve cambiare. Altrimenti il fallimento totale potrebbe essere dietro l’angolo.
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