Sono trascorsi quasi 18 anni dall'Assemblea di Fiuggi, in cui Angelo Binaghi (con il sostegno di Adriano Panatta) divenne Presidente delle Federazione Italiana Tennis. La sua presidenza, dunque, è già la più lunga nella storia perché il ventennio di Paolo Galgani fu interrotto da un commissariamento sul finire degli anni 80. Roba vecchia. In virtù di tale longevità, molti giovani appassionati non ricordano una FIT con un Presidente diverso da Binaghi. In teoria, l'ingegnere cagliaritano potrebbe rimanere in sella fino al 2024, poiché la nuova legge 8-2018, entrata in vigore lo scorso febbraio, consente ai presidenti in carica )e che hanno superato i tre mandati) un ulteriore quadriennio dopo l'entrata in vigore della legge (*). I neopresidenti, invece, avranno un limite di tre mandati. La premessa serve per capire la portata di un'eventuale uscita di scena di Angelo Binaghi dalla presidenza FIT. Detto che siamo soltanto a metà del quinto mandato (il rinnovo delle cariche elettive arriverà dopo i Giochi Olimpici di Tokyo, presumibilmente nel settembre 2020), dalla Sardegna emergono notizie che lo riguardano e che – di riflesso – potrebbero coinvolgere anche il tennis. Anche se le ultime indiscrezioni vedono favorito Christian Solinas, il nome di Binaghi rimane in lizza come possibile candidato del centrodestra per le elezioni di Governatore della Regione Sardegna. Un'eventualità che fa rumore e che – inspiegabilmente – è stata ignorata da chi si occupa di tennis. Andiamo con ordine: sta per scadere l'attuale mandato di Francesco Pigliaru (rappresentante del centrosinistra), che nel 2014 la spuntò per un soffio sul presidente uscente Ugo Cappellacci (con il quale Binaghi collaborò in occasione della finale di Fed Cup 2013, giocata a Cagliari). In un contesto politico radicalmente cambiato rispetto ad allora, con il centrosinistra in crisi e il Movimento Cinque Stelle in crescita (nel 2014 i pentastellati non presentarono il proprio candidato), il centrodestra avverte la possibilità – concreta – di riprendersi in mano la Regione. Da un paio di settimane si è scatenato un vero e proprio toto-candidato, in considerazione degli accordi che – in sede nazionale – erano stati presi dalle forze di centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia). Nel gioco delle spartizioni, sembra che la scelta del candidato per la Sardegna spetti alla Lega. Da qui, il nome di Angelo Binaghi. Motivo: pare che il presidente FIT sia in buoni rapporti con Giancarlo Giorgetti, attuale segretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, fondamentalmente il numero 2 della Lega. Giorgetti, tra l'altro, è al corrente della possibile candidatura di Torino per ospitare le ATP Finals a partire dal 2021. Vista la priorità della Lega sugli altri partiti, il nome di Binaghi sembra essere più forte rispetto ai nomi caldeggiati da Forza Italia (Stefano Tunis) e Fratelli d'Italia (Paolo Truzzu, spinto proprio in queste ore da Giorgia Meloni, in visita a Cagliari).
TRA CAGLIARI E ROMA
Tuttavia, l'ultima parola dovrebbe spettare a Matteo Salvini. In virtù di questo, il favorito sembra essere Christian Solinas, leader del Partito Sardo d'Azione, 90 anni di storia con forti tendenze indipendentiste. In occasione delle ultime politiche, Solinas ha chiuso un accordo con la Lega che gli ha permesso di diventare senatore. Le riserve saranno sciolte nei prossimi giorni: in questo momento, il toto-candidato vede Solinas in vantaggio, ma il nome di Binaghi non è per nulla escluso. Le elezioni si terranno in inverno, in una data ancora da stabilire ma che sarà compresa tra il 20 gennaio e il 24 febbraio. Se davvero Binaghi dovesse essere il candidato, c'è il rischio che le elezioni si tengano in occasione degli impegni delle nazionali di Coppa Davis (1-2 febbraio in India) e Fed Cup (9-10 febbraio in Svizzera). Al di là della tempistica, gli obblighi di una campagna elettorale, ed un'eventuale vittoria, rappresenterebbero per Binaghi un impegno enorme. E bisogna dare atto all'ingegnere sardo di dedicare moltissime energie a ogni attività. Per ora è fantapolitica, ma se davvero Binaghi dovesse prendersi lo scranno di Via Trento a Cagliari, che tipo di impegno potrebbe garantire alla FIT? Riuscirebbe a combinare i due ruoli? Avrebbe voglia e/o possibilità di candidarsi per un sesto mandato? I dubbi sono legittimi. E allora, per la prima volta dal 2004 (quando vinse piuttosto nettamente contro Luigi Tronchetti Provera, ultimo candidato alternativo), non è insensato pensare a una FIT con un presidente diverso. Tuttavia, rispetto ad allora è cambiato tutto. È sparita qualsiasi tipo di opposizione all'attuale gruppo dirigente, un po' per le regole federali (gli sbarramenti statutari per accedere alle candidature rendono complicatissimo qualsiasi progetto di candidatura alternativa: per intenderci, l'eventuale “rivale” dovrebbe iniziare a muoversi adesso. Il fatto è che non esiste nessun rivale), un po' perché il movimento sembra apprezzare le politiche dirigenziali, almeno alla luce del sole. Mugugni e lamentele ci sono ma rimangono tali, senza mai emergere pubblicamente.
GLI UOMINI PIÙ VICINI A BINAGHI
Se davvero Binaghi dovesse ritenere che 20 anni in sella alla FIT fossero sufficienti, chi potrebbe prendere il suo posto? Non è difficile puntare gli occhi sui consiglieri a lui più vicini, quelli che hanno condiviso – passo dopo passo – le vicende di politica federale negli ultimi 20 anni. In un Consiglio Federale rimasto senza atleti (con tre posti a disposizione, gli atleti hanno avuto in Consiglio nomi di peso come Vincenzo Santopadre, Flavia Pennetta, Daniele Bracciali e Mara Santangelo: oggi non c'è più nessuno), i nomi dei teorici – e sottolineiamo, teorici – successori si possono trovare guardando le figure di politica sportiva che oggi siedono in Consiglio, proprio in rappresentanza degli atleti: Giovanni Milan, Raimondo Ricci Bitti e Isidoro Alvisi. Insieme a Graziano Risi (che rappresenta i tecnici), sono lo zoccolo duro della presidenza Binaghi. Il primo, veneto, ricopre anche il ruolo di vicepresidente vicario. Il secondo, romagnolo, è fratello minore dell'ex presidente ITF. Sul piano caratteriale, sembra il più adatto a ricoprire il ruolo. “Dodo” Alvisi è pugliese, in passato ha diretto il Challenger di Barletta e ha una figlia che ha recentemente vinto i Campionati Nazionali Under 16. Quest'ultimo non fa parte del Consiglio di Presidenza, in cui invece siede l'altoatesino Roland Sandrin (insieme a Ricci Bitti, Milan e Risi). Per adesso, non ci sono particolari indicazioni su quello che sarà. Magari in Sardegna “correrà” Solinas e Binaghi tornerà a tempo pieno al suo ruolo di dirigente sportivo (non dimentichiamo che fa anche parte della Giunta Nazionale del CONI), sfruttando le normative che gli consentirebbero di guidare la FIT fino a tutto il 2024. In quel caso, le ipotesi formulate in queste righe rimarranno tali.
IL FIGLIO DI CARRARO PER LA FEDERAZIONE PADEL
A proposito di candidature, è stato proprio Binaghi ad avere l'idea di mantenere l'Italia ai vertici istituzionali del gioco del padel. A fine mese si terranno i Mondiali in Paraguay: nei giorni di gara, ci sarà anche il rinnovo delle cariche istituzionali. Ed è stato proprio il presidente FIT a chiedere a Luigi Carraro di candidarsi. Quest'ultimo (figlio del famoso pluridirigente Franco, tra i vari incarichi già sindaco di Roma e presidente FIGC) è responsabile del Club Italia di padel, ovvero coordinatore delle rappresentative nazionali. Per intenderci, una sorta di Sergio Palmieri del padel. Carraro ha ufficializzato la sua candidatura lo scorso 27 settembre, quando gli è stato concesso uno spazio nello studio di SuperTennis, la TV della FIT (è opportuno ricordare che il padel non ha una federazione propria, ma opera sotto l'egida FIT: esiste un comitato padel, di cui Carraro è componente). “Ho il vantaggio di aver conosciuto e operato in una federazione straordinaria a livello mondiale come la FIT – ha detto Carraro – sono avvantaggiato perché posso esportare nel padel le qualità e i valori che sto vivendo nella FIT, in cui c'è grande managerialità, attenzione al gioco, alla formazione, allo spirito sportivo”. Parlando dei suoi programmi, ha detto che l'obiettivo “ambizioso ma concreto” è far diventare il padel uno sport olimpico. Quella dell'ammissione del padel alle Olimpiadi è una questione che si tratta da tempo: la crescita importante della disciplina la giustifica, anche se ci sono dei parametri piuttosto rigidi che in questo momento non sono ancora rispettati (a livello maschile, si deve giocare in 75 paesi sparsi su quattro continenti: gli esperti ritengono che sia un'operazione possibile sul “medio termine”). Nel suo intervento, oltre a ricordare i numeri della crescita del padel in Italia (negli ultimi 4 anni c'è stato un incremento dei campi del 1000%, delle squadre del 2000%, e dei tesserati del 1500%), Carraro ha ricordato il secondo posto ottenuto dall'Italia alla recente Nations Cup, giocata in Olanda, in cui tra l'altro l'Italia ha battuto una Spagna senza la sua migliore formazione (“Anni fa si parlava di fare 1-2 game, invece li abbiamo battuti con ragazzi, ragazze e nel doppio misto”). Va detto che la Nations Cup non era riconosciuta dalla Federazione Internazionale del Padel. Come detto, le elezioni si terranno in Paraguay e stabiliranno il successore di Daniel Alejandro Patti.
(*) La legge sui mandati per i presidenti delle federazioni sportive ha avuto un iter lungo e complesso. Promossa dall'ex canoista Josefa Idem, aveva un comma che consentiva ai presidenti in carica da 3 o più mandati di svolgerne ulteriori due dopo l'entrata in vigore della legge. Per questo, Angelo Binaghi avrebbe potuto restare in carica fino al 2028. Invece, la versione definitiva della legge 8 del 2018, entrata in vigore lo scorso 13 febbraio, ha avuto una postilla non troppo gradita ai presidenti già in carica: dopo l'entrata in vigore della legge, potranno effettuare soltanto un altro mandato (Articolo 6, Comma 4). In altre parole, indipendentemente dalle questioni di cui abbiamo parlato in questo articolo, la presidenza FIT di Angelo Binaghi non potrà andare oltre 2024.