Intervistata da CNN, Victoria Azarenka manda messaggi d’amore al suo paese d’origine. “Non lo cambierei mai. Ogni volta che torno i bambini sgomitano per vedermi”.
Victoria Azarenka esulta dopo la vittoria contro Mona Barthel

Di Riccardo Bisti – 28 aprile 2012

 
Abita a Monte Carlo, si è affermata tra Spagna e Arizona, ma Victoria Azarenka è orgogliosamente figlia della sua Bielorussia. La leggenda vuole che a inizio 2011, dopo aver perso qualche partita di troppo, si sia domandata se il tennis facesse davvero per lei. E’ tornata a casa e una chiacchierata con la nonna l’ha rimessa in carreggiata. “Non abbiamo parlato di tennis o di qualcosa di specifico. Lei mi ha solo raccontato del periodo in cui stava crescendo” ha detto "Vika" in un’intervista realizzata con CNN. “Basta guardare le cose da una diversa prospettiva e ti rendi conto di quanto sei fortunata. Invece capita di sedersi e lamentarsi di quanto sia difficile la vita perché ho perso una partita di tennis. Persone con problemi molto più seri riescono a vivere con il sorriso sulle labbra”. Dopo quella conversazione “catartica”, Victoria ha messo il turbo. Nei mesi successivi si è rimessa in sesto, poi nel 2012 ha preso a dominare il tennis femminile. Ha vinto l’Australian Open massacrando in finale la Sharapova (prima bielorussa a vincere uno Slam) e ha infilato una striscia di 26 vittorie consecutive, terminata solo a Miami. Adesso è impegnata al torneo WTA di Stoccarda, dove giocherà con Agnieszka Radwanska nella prima semifinale (in programma alle 14, diretta Eurosport. La seconda, non prima delle 18.30, vedrà in campo Sharapova e Kvitova). Quella di Victoria Azarenka non è una “Storia di Cenerentola”. Lei rifiuta l'immagine, ma è un dato di fatto che il suo paese non fosse una fucina di talenti. L’avventura di “Vika” è partita per caso, quando mamma Alla (omonima della madre della Kournikova) aveva iniziato a lavorare in un club locale. La figlia era incontenibile, le impediva di lavorare…e allora le mise in mano una racchetta per tenerla buona. “Per era divertente colpire la pallina contro il muro. Uno degli allenatori mi vide e mi chiese se volevo far parte del gruppo. Tra me e me pensai di no, avevo paura. Ma poi ho fatto la scelta giusta”. 13 milioni di dollari dopo, beh, lo può dire a voce alta.
  
Non mise piede su un campo da tennis per un anno e mezzo. Giocava in una sala, erano 40 bambini strafelici di attendere il proprio turno prima di colpire. E pazienza se giocavano una palla ogni cinque minuti. Ma lei era speciale: quando non era con gli altri ragazzi, continuava a picchiare contro il muro. E quando non si trovava al circolo, alimentava la sua passione insieme al nonno. Giocavano con una racchetta da badminton e palline morbide, ma tanto bastava. Il “campo” era completato dal divano e dalla libreria. Ambiente ottimo da raccontare, perfetto per il giornalista affamato di storie, ma inadatto per costruire una giocatrice. Ben presto la Bielorussia è diventata un ricordo. Ha trascorso un breve periodo in Spagna, poi ha ultimato la sua formazione a Scottsdale, in Arizona. Andare via di casa a 15 anni non è stato facile. “Ma ho visto il mio obiettivo fuori dal tunnel e volevo soltanto fare di tutto per raggiungerlo”. Adesso è numero 1 del mondo, ma è convinta di non avere ancora raggiunto l’apice. Con l’avvicinamento del Roland Garros e di Wimbledon ha chiesto ad Amelie Mauresmo di entrare nel suo team. Detto fatto. “Ho la sensazione che mi possa aiutare, offrendomi delle soluzioni che non ho ancora sperimentato. Lei ha vissuto in prima persona la carriera da top-player e sono convinta che possa svelarmi quei dettagli che aiutano a fare meglio”.
 
Il suo nuovo status le imporrà di giocare le Olimpiadi con uno spirito diverso rispetto a Pechino 2008, esperienza vissuta quasi da…turista. “Ero felice di esserci, non mi preoccupavo di dover giocare ma piuttosto cercavo di recuperare più souvenir possibili”. Senza riuscirci, aveva provato a collezionare gli autografi di Michael Phelps e Kobe Bryant. Non si può dire che i ruoli si siano invertiti, ma non c’è dubbio che a Londra sarà una delle principali attrazioni. Mai come quando torna in Bielorussia, dove è un idolo assoluto per migliaia di bambini. “Quando torno a casa faccio alcune clinics. Nell’ultima sono venuti un sacco di bambini anche da fuori Minsk. Sul campo c’erano 300 bambini e hanno iniziato a spintonarsi perché era in programma che io restassi solo un’ora. Quando li ho visti li ho subito rassicurati. ‘Non preoccupatevi, giocherò con tutti fino all’ultima palla, non ho fretta di tornare a casa’. Alla fine ero esausta, ma mi hanno trasmesso così tanta energia positiva che è stato un piacere senza prezzo”. Il finale è scontato, banale, ma tremendamente reale. Vika potrà abitare a Monte Carlo, nel lusso, ma casa sua sarà sempre in Bielorussia, lembo di terra tra Polonia e Russia. “La mia vera casa sarà sempre in Bielorussia. E’ il luogo da dove vengo, e onestamente non lo cambierei mai”.