Il romano parla anche dello step dal punto di vista fisico: «Sto scolpendo il fisico per essere più leggero in campo»

Qatar Tennis Open

Nessuno batte Matteo Berrettini cinque volte di fila. «Be’, speriamo…», sorride Matteo dopo la sua prima vittoria in carriera contro Novak Djokovic. Doha evidentemente è per lui la città delle prime volte, visto che qui, nel lontano (ma non troppo) 2018, aveva ottenuto la sua prima vittoria a livello Atp.

«Quando ho visto il tabellone non sono stato subito felice», racconta. «Ma poi ho detto al mio team che non volevo perdere questa occasione di giocare contro Novak, che volevo godermela. La chiave è stato giocare aggressivo, che non vuol dire solo tirare forte o andare a rete, ma giocare per mettersi nella condizione di tirare un vincente».

Un tie-break da nervi saldi, qualche concessione allo spettacolo, ma soprattutto nessuna paura da fondocampo. E’ stato al servizio, con prima e seconda palla al meglio, e negli scambi prolungati che Matteo stavolta ha fatto la differenza.
«La memoria delle altre partite è sempre lì», spiega. «Specie della prima, a Londra per le Atp Finals, quando c’era con me Alessandro (Bega, ndr) che alla fine mi disse che avevo servito il 72 per cento di prime palle, eppure avevo perso 6-1 6-2: sul veloce, e indoor. Lì ho capito che Novak era fatto di una pasta diversa. Un altro paio di volte avevo vinto il primo set, ma con lui, come contro Federer e Nadal, avevi sempre la sensazione che stesse studiando il mio gioco per capire come batterlo. Stavolta mi sono sentito bene fin dalla prima palla, e poi man mano è andata sempre migliorando, credo che questa sia stata una delle migliori partite della mia carriera. Oggi ho servito bene e risposto bene, ma la chiave è stata non perdere campo come facevo in passato. Il piano era quello, e mi ci sono attenuto, non importa se sbagliavo qualche colpo. Ho retto gli scambi lunghi con Novak da fondocampo senza andare sotto, e questo è senz’altro un motivo di orgoglio».

Alla fine c’è stato anche un urlo liberatorio: «Sì, perché alla fine è per match come questi che ti alleni e fatichi tanto. E’ una vittoria dolce. Novak a rete mi ha detto qualcosa sul fatto che avevo giocato molto bene, ma non sono riuscito a capirlo bene, c’era troppa confusione. Logicamente Novak è in una fase diversa della sua carriera, anch’io lo sono, e so bene che batterlo in una finale di uno Slam, al meglio dei cinque set, è una cosa diversa che vincere qui al primo turno. Ma il mio livello oggi è stato comunque molto alto, L’anno scorso nella prima parte della stagione ho giocato abbastanza, ma c’erano stati anche tanti infortuni, e poi nella seconda sono un po’ mancato. Quest’anno spero che la stagione sia più lunga e piena di soddisfazioni».

La prestazione contro Djokovic è dovuta anche ad un fisico asciutto, forse mai così ‘tirato’. «E’ vero. Io tendo a mettere peso nella parte superiore del corpo, così mi squilibro con quella bassa dove fatico di più. Se vado due giorni in palestra mi gonfio subito. Quindi abbiamo deciso di ‘scolpire’ un po’ di più il fisico, per renderlo equilibrato. Non sarò mai un fuscello, uno come Zverev o Medvedev che sono più alti di me ma più agili sul campo, ma posso migliorare anch’io negli spostamenti, essere più leggero».

Domani, però, è un altro giorno, e alle 15.30 italiane (diretta su Sky) c’è un cliente scomodo da affrontare: «Sì, stasera me la godo, ma so che domani c’è Griekspoor, quindi dovrò cercare di vendicarmi della sconfitta con lui al primo turno di Rotterdam». Per ora, come direbbero a Sanremo, cuoricini per Berrettini.