Al termine di un match spettacolare, Matteo Berrettini sconfitto ma a testa alta, fa il punto sulla sua condizione e sul torneo dell’amico Jannik
foto Ray Giubilo
«Che cosa gli ho detto alla fine? Che adesso deve andarselo a prendere fino in fondo, questo torneo».
Analizzare a caldo i pro e i contro di una sconfitta del genere, dopo 3 ore e 40 di battaglia, «non è facile», ammette Matteo Berrettini nel Media Theatre dell’All England Club. «Ma sono fiero di me, di come ho retto a testa alta il confronto contro il numero 1 del mondo, sul Centre Court di Wimbledon, con milioni di persone che ci guardavano anche da casa. Sentivamo entrambi il peso della storia, ma mi sono divertito. E’ una di quelle partite che fra vent’anni ricorderò».
La sensazione è di aver rivisto, per lunghi tratti, il Berrettini del 2021: «Guarda, credo di essere persino migliorato rispetto ad allora. Ad esempio a rete, dove mi sento più sicuro. La differenza stavolta l’hanno fatta i pochi match che ho giocato l’anno scorso. Perchè in allenamento puoi provare anche 200 servizi, ma non sarà mai come farlo in partita. Ho avuto le mie chance, qualche errore l’ho fatto, ho perso due volte il servizio appena dopo averlo strappato a Jannik, una addirittura piazzando sei prime…Incredibile».
Capita, contro i numeri uno. E sono stati tutti i numeri uno gli ultimi tre a battere Berrettini a Wimbledon: Djokovic nel 2021, Alcaraz l’anno scorso e ora l’amico Jan.
«Si vede che non devo giocare sul Centre Court – scherza Matteo – La verità è che Jannik migliora ogni giorno, non solo si muove benissimo e colpisce aggressivo da fondo, come ha sempre fatto, ma ha aggiunto tante cose, slice, top, tanta varietà, e ha migliorato tanto il servizio, per questo oggi il migliore è lui. Oggi avrà sbagliato tre palle in tutto il match – continua Matteo – non mi dava ossigeno per respirare. Diciamo che mi ha sorpreso e che mi sono sorpreso anch’io. Il bello è che sono finalmente stato in campo pensando solo al match, non al dolore o alla paura di infortunarmi. Negli ultimi mesi ho ripreso a fare tutte le cose bene, ad allenarmi come devo e a curare i dettagli. Perché mi sono reso conto che la cosa che mi rende triste è non poter giocare. Infortunarsi, riprendere, infortunarsi di nuovo è durissima, è come se ti tagliassero le gambe e non te ne accorgi, perché noi tennisti siamo abituati a giocare una settimana dopo l’altra».
Dopo una serata del genere i pensieri bruciano, ma il futuro fa meno paura: «Con Francisco (Roig, il suo coach, ndr) ci siamo detti che il lato positivo è che il livello c’è, ma ci sono anche tante cose da migliorare, ci sono margini, e questo mi rende felice, perché se sentissi che questo è il massimo che posso fare mi preoccuperei, penserei ma come faccio a batterlo, Jannik, la prossima volta?».