Berrettini si è cancellato anche da Vienna, evidentemente non si sente pronto a ritornare. Anche le Finali di Coppa Davis a questo punto sono a rischio. Ma soprattutto The Hammer deve decidere del suo futuro a partire dal 2024
Enigma Berrettini. Matteo non gioca una partita ufficiale dal secondo turno degli Us Open: quelle immagini terribili della caviglia destra che si piega nel match contro Rinderknech, l’abbandono fra le lacrime. Addio al riscatto nel torneo in cui fu semifinalista, addio al girone di Coppa Davis di Bologna. Il quarto stop del 2023, l’undicesimo in tre anni. Tanti. Forse troppi persino per chi ha sempre fatto della capacità di evadere dalle difficoltà, ricostruendosi una corazza più forte, la sua qualità più grande.
«Salterò la tournée asiatica e rientrerò in Europa», aveva detto, con l’anima in riserva e il cuore che stavolta faceva fatica a partire. Sono passate le settimane e Matteo ha ricominciato ad allenarsi, ma si è cancellato sia da Stoccolma, dove era previsto il suo rientro, sia da Vienna. A Parigi-Bercy gli servirebbe una wild card, potrebbe giocare forse a Metz o a Sofia. Potrebbe. Ma perché? L’unica risposta è: per darsi una chance di essere a Malaga per le Finali di Coppa Davis, prima di chiudere il 2023 e iniziare a programmare il 2024. Ma ci si chiede poi che senso avrebbe presentarsi in Spagna a corto di preparazione, senza certezze di poter essere decisivo: si rischierebbe il replay dell’anno scorso, quando fu buttato dentro in doppio senza una condizione fisica adeguata, anche allora al rientro di un infortunio, e sappiamo come finì. A meno che, e sarebbe una gioia e un aiuto per tutti, non decidesse di far parte comunque del gruppo, ma da fuori, come compagno, consigliere, tifoso, motivatore.
Anche il presidente Binaghi ha fatto capire di contare su Sinner, per Malaga, ma di avere dubbi e riserve sulla presenza di Berrettini. Davis o non Davis, resta il problema del futuro sul circuito di Matteo.
Gli infortuni ripetuti, crudeli, sconfortanti sicuramente lo hanno riempito di dubbi – ne ha parlato lui stesso -, di amarezza e interrogativi a cui è difficile rispondere. Ventisette anni sono davvero troppo pochi per arrendersi, anche se in qualche momento la tentazione sicuramente è forte. Quando i problemi sembrano moltiplicarsi, e le soluzioni non arrivano, anche la capoccia, come si dice, ne soffre. Vale la pena darsi tempo, riflettere, ascoltare, confrontarsi con chi è vicino. Un nuovo capitolo può aprirsi. Le strade sono tante: continuare con il vecchio staff, aggiungere qualcosa, cambiare radicalmente, restare a Monte Carlo o cambiare aria e dare una rinfrescata ai pensieri. Studiare una programmazione diversa, darsi obiettivi diversi. Ma sono scelte che Matteo deve fare ascoltando tutti ma soprattutto se stesso, e alla fine decidendo da solo. Senza badare a chi lo tira per la maglietta, lo sfotte sui social o gli cuce addosso etichette e destini che non sono suoi.