Ha pagato eccome la scelta di Volandri di mandare in campo Berrettini nel primo singolare: la soddisfazione del romano in conferenza stampa

Foto Brigitte Grassotti

MALAGA – Quel dritto impossibile, sul 5-5 del terzo set, 15-0 per Kokkinakis. Chissà cosa l’ha spinto davvero al di là della rete, quanta sofferenza deve avere assorbito in questi ultimi tempi. E quanta voglia di tornare ad essere decisivo, a sentirsi di nuovo il campione che raggiunse la finale di Wimbledon, ha messo Matteo in quel recupero. “Credo perché è assurdo”, Berrettini ci ha creduto e quel “chop” ha chiuso di fatto una partita straordinaria per emozioni e di ottimo livello anche nella qualità del gioco, spianandoci la strada verso la seconda finale di fila. Dopo quel punto, il nostro campione ne ha vinti altri sette (su otto) di fronte ad un Kokkinakis grandissimo per due ore e mezza ma ormai affranto. «E’ vero, quel colpo mi ha dato una energia speciale – risponde il nostro campione – spesso ci provo a farlo, me ne era riuscito uno uguale quest’anno contro Gaston, a Kitzbuhel. E’ un colpo da terra battuta, quando si può usare di più il polso, Vincenzo (Santopadre, suo ex coach, ndc) lo chiama un dritto “alla Castrichella” (ex pro, 207 del mondo nel 2007, ndc). Sì, quel dritto mi ha dato la spinta decisiva per chiudere la partita».

Sorride, Matteo, ha ancora in corpo l’adrenalina per la battaglia vinta. «E’ stata una vittoria di cuore, sono contento per la mia resa fisica, non mi sento neanche tanto stanco. Devo ringraziare i tifosi per la spinta continua ma anche i ragazzi della squadra per le parole che mi hanno rivolto alla fine del primo set. Aveva tanta rabbia addosso per averlo perso in quel modo, era un set che avrei dovuto vincere sei volte. La panchina mi ha convinto a crederci ancora, che il recupero era possibile. Ho continuato a lottare e ora sono felice».

In una stagione di ricostruzione e di ritorno al successo, per Berrettini la vittoria di oggi rappresenta forse un punto di svolta. «E’ la conferma di un anno solido, ma giocare in Davis è sempre speciale. Ogni volta che indosso la maglia azzurra penso a quando ero bambino, ai miei sogni… Ricordo ancora un torneo a squadre, con la Canottieri Aniene, avevo 19 o 20 anni, suonarono l’inno italiano e Bolelli mi disse, “pensa quando lo ascolterai perché giocherai in Davis…“. Chiaramente mi misi a ridere, e invece…». Scendere in campo prima di Sinner, praticamente imbattibile in questi giorni, fa giocare con l’animo più leggero? «Ma no, in campo si pensa solo a sé stessi. Qui poi sembra di stare a casa nostra, è incredibile. Non ci sono solo italiani sugli spalti ma quando giochi contro un avversario così forte e giochi bene, ti emozioni per quelli che guardano. Ecco, il calore del pubblico in certi match mi era mancato tantissimo».