A Malaga per sostenere la squadra azzurra, Matteo Berrettini ha parlato dei pensieri che lo hanno attraversato in quest’ultimo, tormentato anno. E della rinnovata voglia di giocare
Il suo ruolo di tifoso («sono felice di essere qui al fianco dei miei compagni di squadra, voglio divertirmi e godere della loro energia»), lo spettro della depressione («sì, ho pensato davvero di smettere»), la voglia di giocare («sto lavorando bene, e finalmente sono tornato a sorridere in campo, la cosa più importante»). Alla fine di un anno tormentatissimo, con tanti infortuni che gli hanno permesso di giocare appena trenta partite, l’ultima il 31 agosto agli Us Open (la rottura del legamento anteriore della caviglia destra, ndr), è bello rivedere dal vivo Matteo Berrettini, anche se per ora solo in conferenza stampa. Sono successe tante cose in questi tre mesi, nel suo e nel tennis italiano, dalla separazione con Vincenzo Santopadre, il coach storico, all’exploit di Sinner a Torino, in attesa del debutto azzurro alle finali di Coppa Davis.
Ma andiamo per ordine. «Ho posticipato più volte il mio rientro in campo poi ho capito che non avvertivo la spinta giusta per rimettermi subito in gioco – ha esordito Matteo – ed ho preferito rinviare tutto al al 2024, sperando magari di essere protagonista subito, ai prossimi Open d’Australia. Noi giocatori non ci rendiamo conto di passare troppo tempo in una sorta di bolla, dove le partite, le vittorie, sono l’unica cosa che conta. Ecco, io spero di essere sulla strada giusta per ritrovare lo spirito di un tempo, non mi interessano nè il ranking (Berrettini è scivolato al 90º posto, ndr) nè i soldi da vincere, è solo una sfida con me stesso. Mi sto allenando bene, con gioia, questo per me conta tantissimo. E finalmente in campo sono tornato a sorridere, a divertirmi».
Il capitolo allenamento introduce il discorso sul cambio di coach. Si è parlato del possibile arrivo di Thomas Enqvist (ex numero 4 del mondo, già al fianco di Verdasco e, per un breve periodo, di Tsitsipas) ma Berrettini ha preferito glissare sul nome. «Sto finalizzando la mia decisione, sto considerando cosa è meglio per il mio futuro, tra poco saprete tutto. Con Santopadre ci siamo accorti entrambi che un certo percorso si era concluso, ma quello che abbiamo raggiunto insieme è storia. Senza di lui non sarei qui, non sarei diventato numero 6 del mondo, riguardo spesso le foto e i video delle mie partite nei Futures, nei Challenger, quando non contavamo niente ma ci divertivamo tanto. Ora c’è una situazione nuova alla quale devo ancora abituarmi, a volte mi sveglio e dico, “devo chiamare Vincenzo”, poi realizzo che non devo farlo. Ma tra noi le cose non sono cambiate, anzi il nostro rapporto personale non potrà che migliorare».
Domani l’Italia affronterà l’Olanda, e Berrettini è fiducioso. «Per prima cosa devo dire che io sono qui dopo aver sentito Filippo (Volandri, ndr), che mi ha confermato che la mia presenza sarebbe stata molto gradita alla squadra. E poi io ho sempre pensato alla forza del gruppo, alla capacità di vincere insieme. I ragazzi li vedo bene, con tanta voglia di fare grandi cose. E poi c’è Jannik che si presenta in discreta forma, mi sembra… Non mi ha sorpreso il suo exploit alle Atp Finals, la superficie indoor così veloce gli si addice perfettamente, ero convinto che per lui fosse solo una questione di tempo. Invidioso? Assolutamente no, poi certo mi sarebbe piaciuto essere lì, godermi il torneo come ha potuto fare lui».
Due anni fa Sinner prese a Torino il posto proprio di Berrettini, fermato al debutto dopo il primo set contro Zverev per un problema agli addominali. «Ecco, quella è stata una delle delusioni più grosse della mia carriera. Ero reduce da una splendida stagione, ero stato finalista a Wimbledon, mi sentivo bene. Fermarmi, rinunciare al torneo, fu proprio una bella botta». Una delle tante della sua carriera. Ma ha davvero pensato qualche volte di lasciare perdere tutto? «Ci sono stati in tempi recenti giorni dove ho visto davvero tutto buio, dove mi svegliavo senza nessuna voglia di andare dal fisioterapista e mi domandavo se davvero valesse ancora la pena di faticare per tornare in campo, aspettando magari l’ennesimo stop. Mi sembrava che il tennis stesse diventando una lunga agonia, e non l’avrei sopportato. Fortunatamente però sono circondato da persone che mi vogliono bene e che mi hanno aiutato nei momenti più difficili. Poco per volta è tornata anche la molla della sfida, il desiderio di rimettermi in gioco. Non dimentico quello che sono stato e che ho passato, voglio solo tornare in campo senza farmi condizionare da nessuno, neanche da quelli che mi incontrano per strada e mi urlano brutte cose. Succede anche questo purtroppo, ma conta solo la mia voglia di tornare in campo, di divertirmi giocando a tennis». E allora forza Matteo, torna a farci sognare.