Il ceco non si nasconde. “Voglio diventare un Fab Four e vincere uno Slam”. Per farlo, è pronto ad allenarsi ancora più duramente e magari cambiare allenatore. “La finestra è sempre aperta”.
Di Riccardo Bisti – 15 aprile 2014
L’assalto di Tomas parte dal Principato. Da quando Berdych è entrato nell’elite del tennis (era il 2005 quando vinse il Masters 1000 di Parigi Bercy, ancora ventenne), il terreno non è mai stato fertile come oggi. Vuole entrare tra i primi 4, suonare anche lui nella band dei migliori. Prima era troppo giovane, poi gli altri erano troppo forti. Ma adesso, se c’è riuscito anche David Ferrer, Tomas ci crede. Ne è convinto. Per correre dietro ai sogni, ha persino rinunciato a un match di Coppa Davis. Il Giappone era troppo lontano, avrebbe ostacolato la sua preparazione. Una preparazione finalizzata a obiettivi enormi, assoluti. “Bisogna mettere insieme i pezzi del puzzle, ma si tratta di un puzzle molto grande” ha detto Berdych a Monte Carlo, dove risiede ed esordirà oggi contro Dmitry Tursunov nell’ultimo match sul Campo dei Principi. Il ceco ha sempre avuto l’immagine del ragazzo serio, algido, quasi noioso. Poi ha scoperto Twitter, dove ha messo in mostra uno spiccato senso dell’umorismo. Non arriverà ai livelli di Karlovic o dello stesso Tursunov, ma ‘seguirlo’ è d’obbligo. Berdych è spesso andato vicino a un ruolo da big assoluto. Avrebbe potuto centrarlo in Australia: probabilmente avrebbe vinto il torneo se avesse battuto Stanislas Wawrinka al termine di una semifinale molto equilibrata, composta da tre tie-break. Con l’infortunio di Nadal in finale, quel Berdych non avrebbe mai perso. Ma non abbandona l’ottimismo: “Stan ha dato una grande speranza a tutti gli inseguitori. Ci ha mostrato che è possibile vincere uno Slam. Dal 2005, è stato un affare privato tra i migliori. Ma adesso è corretto dire che si è aperto tutto. La cosa buona è che non mi sento stanco dopo 12 anni nel tour. Anzi, ho nuova energia e mi sento vicino alla vetta. Ho la forza necessaria per lavorare duro perchè so che anche Andy Murray ha dovuto impegnarsi parecchio per vincere il suo primo Slam”.
SOGNO WIMBLEDON
Lo scozzese ha trovato il salto di qualità grazie a Ivan Lendl, connazionale di Berdych (anche se ormai ha preso la cittadinanza americana). “Ivan è stato un fattore nella crescita di Murray. Non gli ha insegnato nulla di nuovo sul piano tecnico, ma è stato fondamentale su quello psicologico. Adesso Andy deve scegliere un nuovo allenatore, ma non importa che sia un personaggio di grande nome. Deve crearsi la giusta alchimia sul piano mentale”. Berdych ha poi riflettuto sulla nuova partnership tra Roger Federer e Stefan Edberg. In effetti, la sua domanda è legittima: "Quando Federer chiama un coach, ci si può domandare se pagherà per ricevere qualche insegnamento da Roger. Però Edberg era il suo idolo da ragazzino, quindi può crearsi l’alchimia giusta. Non dico che Edberg non sia in grado di dargli qualche consiglio, ma cosa vuoi insegnare a chi ha vinto 17 Slam?”. La notizia è che anche Berdych potrebbe pensare a un cambio a breve. Sono ormai cinque anni che lavora con il connazionale Tomas Krupa. Insieme, hanno ottenuto grossi risultati. Su tutti, una finale di Wimbledon. “Spesso mi chiedono se cambierò allenatore, e dico sempre che ho una finestra aperta. Si, penso che potrei cambiare allenatore”. Chissà come la prenderà Krupa, ex discreto doppista e allenatore di Stepanek ai tempi d’oro, quando Radek era piombato tra i top-10. Berdych punta all’obiettivo grosso: uno Slam. Il più abbordabile sembra Wimbledon, se non altro perchè ci ha giocato una finale. “E pensare che nei primi anni di carriera non mi piaceva l’erba. Ultimamente l’erba è cambiata molto, quindi ci si può muovere con più facilità. Si adatta bene al mio gioco, poi ho scoperto la preparazione al Queen’s, come non mi era mai capitato. Sarebbe bello se a Wimbledon utilizzassero gli stessi campi del Queen’s”.
NUMERO 1…IN UN'ALTRA EPOCA
E poi c’è l’amore per Londra, città talmente grande e cosmopolita che anche un top-5 può girare in tutta tranquillità. Quandovi trascorre un po’ di tempo, Tomas prende per mano la fidanzata Ester Satorova, una delle WAGS più in vista, e girano per la città. Prendono la metropolitana e si concedono una passeggiata. “Ci comprendiamo bene perchè anche lei svolge un lavoro molto duro, per certi versi è simile al tennis. Devi passare molto tempo lontano da casa, poi l’età è un fattore importante. E’ un business brutale. Il tennis è più gestibile. Se lavori bene puoi ottenere risultati senza dipendere da altri. Ma lei ha ancora un obiettivo e lo vuole raggiungere a tutti i costi”. Berdych viene da un paese, la Repubblica Ceca, con grandi tradizioni e un ottimo presente. All’Australian Open avevano 23 rappresentanti (9 uomini e 14 donne). “Però dobbiamo sempre sostenere i paragoni con Lendl e Navratilova. Per noi è già importante tenere viva la tradizione”. A parte la rinuncia al Giappone, Berdych ha sempre mostrato un attaccamento importante alla Coppa Davis. Oltre ai due successi di fila (il paese non vinceva dal 1980, quando era ancora Cecoslovacchia), ha giocato il match più lungo nella storia della competizione, il doppio dello scorso anno contro la Svizzera. In coppia con Rosol, ha battuto Wawrinka-Chiudinelli in sette ore. “In Davis abbiamo a disposizione solo due pause per andare in bagno, ma in sette ore non sono sufficienti. Allora, al termine di un game, correvamo fuori dall’arena, dove c’era un parcheggio. C’era gente che ci guardava, ma io dicevo: ‘Tranquilli, non preoccupatevi’. E abbiamo pure vinto”. Mentre osserva le meraviglie del Country Club, quel centrale vista mare ammirato in tutto il mondo, Berdych riflette su come sarebbe stata la sua carriera senza quei quattro davanti a sè. “Forse, in un’altra era, avrei potuto essere numero 1 del mondo per qualche settimana. Però posso competere con i più forti ed essere importante anche in questo momento storico. In fondo li ho battuti tutti, almeno una volta. Adesso sento che c’è una possibilità. So che sarà molto difficile, ma se un giorno dovessi sollevare un grande trofeo, secondo me varrebbe per cinque. Si, voglio vincere uno Slam. Vincere Wimbledon sarebbe l’ideale, ma andrebbero bene tutti. Almeno uno”.
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