Il transalpino si apre raccontando sé stesso ed il mondo che lo circonda
“Tanti giocatori vogliono tenere un’immagine seria, ma poi frequentano le mie stesse feste”
“Il tennis è un gioco per me e così è stato per tutta la mia carriera, quando scendo in campo lo faccio per divertirmi e per far divertire chi mi guarda. Mi piace provare colpi folli e mi piace vedere la reazione degli spettatori: quando sbagli sembri un cretino, ma quando certi colpi ti riescono è fantastico”. Benoit Paire si è aperto e sulle pagine di RaquetMag ha detto la propria verità, raccontando sé stesso ed il mondo che lo circonda. “Da piccolo i miei idoli erano Marcelo Rios e Marat Safin. La personalità di quest’ultimo era perfetta per me, volevo essere come lui, giocare bei colpi ed essere spavaldo. In campo lui mostrava le sue emozioni, esattamente come me – spiega il transalpino – Non è vero che basta vincere uno slam per essere ricordati, ma Marat ha lasciato un segno e ci ha offerto qualcosa di diverso. Adesso trovo il tennis più blando, con i social network e i microfoni sparsi in campo, appena dici qualcosa diventa virale”. Scrive con non poco dispiacere Paire, andando poi a precisare: “Imporre dei limiti è necessario, ma l’ATP sta diventando sempre più severa e delle volte non ci è permesso esprimerci. Tanti giocatori vogliono mantenere un’immagine seria, ma sono quelli che poi incontro alle feste. Quando sono in vacanza perché non dovrei bere uno spritz come farebbe chiunque? Io ho deciso di essere trasparente”.
“Nel tennis c’è tanta ipocrisia, i giocatori si trattengono e non dicono ciò che pensano. Nessuno per esempio dice quando il proprio avversario ha giocato male perché poi saresti inchiodato”. Il rammarico di Benoit che porta al riguardo un esempio personale: “Nel 2017 a Montecarlo persi con Haas 6-2 6-3 e a metà partita urlai che giocava in modo orribile, tutti ne parlarono. Tommy è un giocatore che ho rispettato moltissimo, ma quel giorno non vinse perché giocò bene. Lo stesso avrà pensato Ruud dopo avermi battuto 6-1 6-1 a Madrid nel 2019. A volte mi piacerebbe vedere più onestà”. Secondo Paire sono pochi gli atleti davvero trasparenti nel circuito: “Ragazzi come Kyrgios e Fognini fanno bene al tennis, mi piace la loro follia. Tutti criticano Nick però poi restano a guardare le sue partite: quando gioca è uno spettacolo, sai sempre che accadrà qualcosa – prosegue Benoit che torna a parlare di sé – Non tutti ci crederanno, ma per esempio io sono molto più calmo rispetto a quando ero giovane. Ricordo che una volta spaccai tutte le mie racchette e giocai con quella del mio avversario o altre volte i miei genitori mi dovevano trascinare fuori dal campo. Avevo crolli incontrollabili senza alcun motivo, tant’è che ad un certo punto fui cacciato dal National Training Center”.
“Non sono disposto a fare i sacrifici che servono per essere un top 10”
Nella lettera Paire ha ricordato i trascorsi al Centro Federale, un’avventura che non finì nel migliore dei modi: “Al tempo non avevo ottenuto risultati particolarmente buoni, ma ero protetto da Patrice Dominguez, allora direttore tecnico nazionale. Non potrò mai ringraziarlo per l’aiuto, credeva in me e nel mio potenziale. Nel 2009 però fu licenziato e tutto cambiò, arrivò Patrice Hagelauer che mi chiamò nel suo ufficio e mi disse: “Non ti conosco; non ti ho mai visto giocare, ma hai finito. Prendi le tue cose” – il benservito ricevuto dal classe 1989 – Tornai ad Avignone senza soldi ed una struttura per allenarmi, per un po’ mi fermai anche se poi iniziai a lavorare con Zimbler che mi ha portato in top 20”. Paire è consapevole dei propri punti di forza, ma anche dei propri limiti e non lo nasconde: “Sono stato etichettato come un ragazzo di talento, ma idiota. Per essere un top ten mi mancano molte cose: dovrei essere più serio negli allenamenti e dovrei prepararmi meglio sul piano fisico; questi sono però sacrifici che non sono disposto a fare. Il mio tennis forse è da primi dieci, ma loro hanno anche la spinta mentale e fisica che a me manca. Preferisco essere nei primi 30 e godermi la vita, ho la fortuna di fare soldi e divertirmi. Sono molto fortunato”.
Consapevole delle proprie scelte il francese non può che ammirare chi al contrario riesce a dedicare la totalità delle proprie energie al tennis: “Non sono geloso di Nadal, Federer e Djokovic, anzi li rispetto molto e quello che fanno è sorprendente. Però quando vedo Rafa vincere il Roland Garros e due giorni dopo allenarsi al Queen’s per la stagione sull’erba capisco che sta totalmente su un altro piano. Vincessi io il Roland Garros probabilmente neanche giocherei Wimbledon”. Ironizza Paire che non vuole però sminuirsi: “Non sarò mai come questi tre, però mi considero comunque un campione. Sono stato numero 18 del mondo, ho vinto tre titoli ATP e da dieci anni sono un top 100. Sto facendo una buona carriera, giocando i tornei più importanti contro i giocatori più forti”.