L’americano che ha battuto Jannik Sinner è famoso per l’esultanza con cui mima una telefonata, che in molti gli hanno già copiato. Ma soprattutto per un servizio potente che sta alla base del suo tennis aggressivo

Un quarterback in canotta, che serve ai 240 all’ora e perfora l’aria e le sicurezze altrui con i suoi tiri mancini. Si chiama Ben Shelton, ha appena compiuto 21 anni, viene da Atlanta e a Shanghai ha battuto Jannik Sinner, la sua terza vittima fra i top ten dopo Caper Ruud, sconfitto l’anno scorso a Cincinnati quando il norvegese era n.5 del mondo, e l’amicone Frances Tiafoe (n.10) piegato nei quarti agli ultimi Us Open, dove si è fermato solo nei quarti contro Djokovic.

Ben ha un fisico compatto e potente da football americano (193 per 85 chili), e soprattutto un servizio che fracassa: il suo marchio di fabbrica insieme all’esultanza telefonica, il gesto della cornetta portata all’orecchio e poi abbassata bruscamente dopo una vittoria, rubata all’ex campione mondiale dei 110 ostacoli Grant Halloway e che subito in molti, da Djokovic a Fognini, gli hanno copiato.

Shelton scaglia la prima palla con un movimento composito ed inedito, una catapulta di muscoli che si torce nell’aria, sfruttando un arco biomeccanico perfetto. Un puzzle dei gesti di Becker, Sampras e Federer: parte con i piedi quasi rivolti verso il fondo, il bacino che aggetta nel campo, poi scatta in alto usando la molla degli addominali. Colpisce la palla appena inizia a scendere, ruotando l’avambraccio per ottenere più velocità, e lo fa proiettandosi all’interno del rettangolo per quasi un metro prima di toccare terra, mentre – ha rivelato L’Equipe – la media del Tour è di 50 cm. Non scherza neanche con la seconda: a New York ne ha piazzata una a 230 all’ora.

Ben è figlio e nipote d’arte. Suo padre Brian, che da giugno ha deciso di fargli da coach lasciando il lavoro alla Florida University, è stato n.52 Atp nel ’94, suo zio paterno Todd Witsken ha vinto il doppio a Roma nell’88. A tennis Ben ha iniziato a giocare a 12 anni, dopo aver provato altri sport. «Avrebbe potuto diventare un ottimo quarterback», dice Shelton senior, che fino all’anno scorso non lo ha mai fatto uscire dagli States. «Io e mia moglie volevamo che i nostri figli (anche la sorella Emma gioca, ndr) avessero una vita normale, ottenendo una buona istruzione prima di dedicarsi allo sport». Così Ben – che va bene in matematica e vorrebbe lavorare a Wall Street – ha vinto due titoli universitari in Florida ed è entrato fra i top 100 Atp senza neppure avere il passaporto. Il suo primo viaggio all’estero è stato a gennaio, in Australia dove ha raggiunto i quarti di finale. Da allora ha conquistato tutti con la simpatia, le linguacce, il faccino da birba e la ‘phone celebration’. Fa parte del team-canotta, come Alcaraz, della stessa generazione di Carlitos, Sinner e Rune, oltre che della new wave multietnica made in Usa. Il più giovane semifinalista americano degli ultimi 30 anni a New York, e da ieri virtualmente top 20, che vuole prendersi il tennis rivoltandolo in allegria. «Ben è un gran tipo fuori dal campo – dice il suo amico Tiafoe – Ma come avversario è meglio evitarlo».