ESCLUSIVO – L'ITF avrebbe rimandato la pronuncia sul “Caso Bedene” perché all'udienza mancava la federtennis slovena. Sarebbe stata una ripicca: sostengono di aver dato cospicui contributi a chi oggi “ha tradito”. Lui nega, ma intanto niente finale di Davis.  

Si chiama “questione Bedene” ed è una storia che non sarebbe interessata a nessuno, se quest’anno non fosse capitato un fatto anomalo: la Gran Bretagna è tornata a vincere e, tra una settimana, avrà l’opportunità di far sua la Coppa Davis per la prima volta dopo 79 anni. La squadra dei fratelli Murray può contare su un singolarista che vale due punti (Andy), su un ottimo doppista (Jamie) e poco altro: Dominic Inglot è disponibile per il doppio, non dovesse giocare Andy, mentre Kyle Edmund non è ancora – per chi scrive, difficilmente lo sarà mai – un “secondo” degno dello scozzese. Alternative non ce ne sono, se non James Ward. Anzi, una sì: Aljaz Bedene, numero 45 al mondo, sloveno di Lubiana. Ha giocato la Davis per la sua terra patria per tre anni, fino al 2012. Da quest’anno è cittadino britannico, però la federazione internazionale gli ha negato la possibilità di essere convocato perché a inizio 2015 è cambiata la regola che fino allo scorso anno permetteva a un giocatore di disputare la Davis per due selezioni nazionali differenti. Bedene si è appellato alla circostanza per cui il suo passaporto fosse stato depositato in data precedente rispetto a quella dell’adozione della nuova norma. Si è reso necessario un giudizio, disposto dall'ITF a Praga lo scorso martedì. Bedene, accompagnato dal suo avvocato e dal legale della federazione britannica Stephen Farrow, ha presto ricevuto sorprese sgradevoli, come hanno riferito fonti attendibili. Prima di tutto, il giocatore – impegnato in un incontro di serie A a squadre in Francia – è stato lasciato per quasi due ore ad attendere che l’udienza venisse aperta, col rischio di perdere il volo di ritorno. Dopodiché, è stato informato del fatto che il Board avrebbe concesso appena 15 minuti per presentare il caso: cinque a Bedene, cinque al suo avvocato, altri cinque a quello della Lawn Tennis Association.

SI SAPEVA GIA' TUTTO?
Cinque minuti in cui Bedene avrebbe dovuto condensare le ragioni della sua decisione di diventare britannico e i motivi per cui aspira a giocare in Davis per la Gran Bretagna. Terminate le tre brevissime deposizioni, in tutta risposta il collegio ha informato il giocatore del fatto che quel giorno non sarebbe stata presa una decisione, perché mancava il rappresentante della federazione di provenienza di Bedene, quella slovena. Una circostanza grottesca: senza un rappresentante della controparte nell’udienza, così recita il regolamento, il procedimento non può arrivare a una decisione. Aljaz Bedene, insomma, è tornato cornuto e mazziato: al di là dei soldi e del tempo sprecati, l’organo ITF già sapeva che quel giorno non si sarebbe deciso alcunché, mancando una delle parti in causa, eppure non si è preoccupato di avvertire il giocatore. Ciò che conta, tuttavia, è la vera motivazione del rinvio. L’assenza del rappresentante sloveno, infatti, pare non essere stata casuale e il rinvio della decisione al prossimo marzo non dipende affatto dalla necessità dell’ITF di istruire ulteriormente la causa: è stata unicamente una mossa strategica della Slovenia per impedire a Bedene di giocare la finale di Davis e, con quella convocazione, di staccarsi definitivamente dalla sua patria di origine. La ragione della condotta della federazione di origine di Bedene, a quanto pare, risiederebbe nei sostanziosi aiuti e sostegno forniti, negli anni, al giocatore che oggi vorrebbe passare sotto la Union Jack. Una circostanza che Bedene, peraltro, nega. D’altro canto è lecito supporre che, anche si fosse deciso il caso in quel di Praga, ben difficilmente gli sarebbe stato concesso di entrare in campo a competizione in corso. Ma quando Andy Murray sostiene che l’ITF abbia mancato di rispetto ad Aljaz Bedene dice una cosa forse per interesse di bottega, ma sostanzialmente corretta.