IL PERSONAGGIO – Le urla sul campo da tennis sono soltanto una parte del carattere di Victoria Azarenka. C’è anche un lato dolce, che può essere compreso conoscendo le tre regole della società bielorussa.
Un dolce abbraccio tra Victoria Azarenka e sua nonna
Di Riccardo Bisti – 22 ottobre 2013
Articolo Pubblicato sul numero di settembre di TennisBest Magazine
C’è un momento che più di altri rivela l’esatta natura di Victoria Azarenka, unica donna in grado di battere Serena Williams al top. Per vederlo, tuttavia, devi trovarti in una casa bislacca a due ore d’auto da Minsk. In questo angolo di mondo, sconsigliato da qualsiasi Lonely Planet, puoi vedere la bella Vika camminare a braccetto con una signora anziana. Si tratta di sua nonna. la stessa persona che le ha dato la forza di andare avanti un paio d’anni fa, quando stava meditando addirittura il ritiro. Per oltre 50 anni, ha lavorato come maestra d’asilo e si alzava alle 5 del mattino per educare generazioni di bambini, prima sovietici e poi bielorussi. Ogni anno, si concede un paio di vacanze in questa casa di campagna che sembra un UFO atterrato in mezzo al deserto. Non sapeva che quel giorno sarebbe arrivata la nipote. Quando l’hanno avvisata, si è affrettata a procurarsi un po’ di uva a cioccolata bianca. Poche ore dopo, le due erano a braccetto. “Piano, Babushka, piano – dice la Azarenka – abbiamo tutto il tempo del mondo”. Sul campo da tennis, Victoria è una macchina da guerra. Te ne accorgi osservando la sua racchetta col manico “4”, perfetto per gli uomini. Nel bordo interno del telaio, sono disegnati due piccoli trofei. Ognuno rappresenta un successo in un torneo del Grande Slam. Per adesso sono soltanto due, ma se ne aggiungeranno altri. Victoria se ne è convinta dopo l’estate americana, in cui ha battuto la Williams a Cincinnati e l’ha frustata a dovere anche a Flushing Meadows prima di finire la benzina sul più bello. La “Victoria” è soltanto rimandata. Non è un caso che si chiami così: nel 1989, I genitori scelsero quel nome apposta. Magari non pensavano che sarebbe diventata una campionessa di tennis, ma riponevano grandi speranze su di lei. “Vivevamo in sei in un piccolo appartamento – ricorda la Azarenka – I miei genitori, io, mio fratello e i miei nonni. Mio padre aveva due lavori, mia nonna andava a lavorare alle 5 del mattino, e mia mamma tornava dal lavoro alla sera tardi. Tutto questo per permettermi di giocare a tennis”.
Victoria aveva 9 anni quando il suo primo allenatore lanciò una sfida al suo gruppo di allievi: tirare 1.000 palle, una dopo l’altra, perfettamente contro il muro. Il numero era volutamente irrealistico: voleva capire come avrebbero gestito un compito del genere. La Azarenka arrivò a 1.460. A 13 anni ha vinto il suo primo torneo internazionale, un under 18 in Uzbekistan. L’anno dopo, quando si stava già allenando in Spagna, a Marbella, ha giocato la prima partita nel circuito WTA. L’avversaria fu Kristin Haider Maurer. “Era una bestia, non mollava una sola palla. Era già ambiziosa e tenace” ricorda l’avversaria. La Haider Maurer vinse i primi tre giochi. Al cambio di campo, la Azarenka scoppiò in lacrime. Poi emise un urlo di pura rabbia e lasciò solo un game all’avversaria. Finì 6-4 6-0 per lei. Da allora sono successe tante cose. Vika si è spostata negli Stati Uniti, è diventata una campionessa e tre anni fa ha scelto Sam Sumyk, coach francese dotato di una serenità imperturbabile. “Perchè Vika è la più forte? – si domanda – non certo per il rovescio. E’ la sua professionalità. Mi affascina come sia disposta a sacrificare tutto per il successo”. Una voglia di vincere che si sente, e molto. La Azarenka è una delle più rumorose “urlatrici” del circuito. A Melbourne hanno misurato il volume dei grugniti al momento di colpire la palla. Spesso superava i 100 decibel. La soglia di dolore per l’orecchio umano è 110. Alcune giocatrici hanno chiesto una regolamentazione, obbligando la WTA a correre ai ripari. Sono state istituite delle regole, ma solo per le nuove generazioni. Victoria continuerà a urlare fino a fine carriera. Ma ogni tanto anche lei ama il silenzio, la profondità, i ritmi lenti. La scena descritta qualche riga fa, con la nonna a braccetto, risale a inizio aprile. Vika avrebbe dovuto essere a Miami, oppure in Arizona, dove si trasferì all’età di 15 anni per allenarsi, ospitata dalla famiglia di Nikolai Khabibulin, portiere di hockey su ghiaccio, che ha finanziato a lungo i suoi allenamenti negli States e a Monte Carlo. Tuttavia, un infortunio a Indian Wells le ha consigliato di tornare a casa. “E casa mia sarà Minsk. Per sempre”. E allora lavoro in palestra alternato al riposo insieme alla famiglia. Insieme a lei c’era tutto lo staff: Sam Sumyk, l’agente Meilen Tu (ex giocatrice), il fisioterapista Per Bastholt e il preparatore atletico Mike Guevara. La presenza di uno staff internazionale stride con il pavimento usurato e le foto in bianco e nero, un po’ sbiadite, di questo palestrone bielorusso.
Si tratta del National Tennis Center di Minsk. Negli ultimi 15 anni lo hanno rinnovato. I campi sono stati modernizzati e le finestre isolate, in modo da non morire di freddo in pieno inverno. C’è anche un pezzo d’Italia, poichè i campi sono stati realizzati dalla Play-It di Gianfranco Zanola, azienda leader nel settore delle superfici. Tuttavia, l’aspetto è simile a quello del 1996, quando la Azarenka vi mise piede per la prima volta. Mamma Alla aveva appena trovato lavoro nella struttura: faceva la receptionist dalle 8 alle 22. Il suo primo giorno di lavoro, la madre le consegnò una racchetta. Era una Prince di alluminio, modello impegnativo anche per un adulto. “Mi pare che fosse così. Ma non ce l’ho più, di sicuro l’avrò rotta in un momento di rabbia” sorride Victoria. Trovò una palestra a un piano interrato. Lì c’era un muro, perfetto per tirare pallate a più non posso. Ci passava le ore, in attesa che la madre tornasse a prenderla. Oggi, su questa stessa palestra, si sottopone a sedute di yoga e di resistenza. Ma lei è un tipo duro, al massimo sorride pensando al passato. Non c’è tempo per lacrime e nostalgia. La Bielorussia è uno spicchio di terra tra la Polonia e la Russia e conta meno di 10 milioni di abitanti. Il regime politico è abbastanza radicato da poter sussurrare il termine “dittatura”. Nel 2014, il presidente Lukashenko toccherà i 20 anni di governo. I partner esteri sono Russia, Iran e Venezuela. Passeggiando per Minsk, si vedono soldati con addosso cappelli enormi. Sembrano più preoccupati a tenerli in testa che a controllare l’ordine pubblico. La scena sarebbe comica, non fosse che è l’unica concessione a un rapporto autorità-cittadini tutt’altro che rilassato. Sui muri delle strade, oltre ai cartelloni pubblicitari, ci sono enormi cartelloni con disegnato un un uomo che fuma. L’immagine è coperta da una sbarra rossa: è una campagna per prevenire una pratica che in Bielorussia è causa di centinaia di decessi. In generale, I bielorussi evitano di parlare di politica e questioni sociali. Lo chiamano “fatalismo post-sovietico”. Però amano parlare della loro terra, di se stessi, delle tradizioni, della cultura. Il loro patriottismo è vivo e orgoglioso. La Azarenka, ad esempio, ama parlare dei connazionali. Su tutti Natalia Zvereva, che raggiunse la finale al Roland Garros 1988 (persa in modo umiliante contro Steffi Graf), anche se rappresentava ancora l’Unione Sovietica. E poi c’è Max Mirnyi, con cui ha vinto il doppio misto alle Olimpiadi. Per loro è stata una soddisfazione immensa, tanto che il governo ha addirittura coniato un francobollo celebrativo per quel successo. Senza dimenticare Darya Domracheva, campionessa mondiale di biathlon.
La Azarenka ragiona anche sul suo suolo di eroina nazionale. Dice di viverlo in modo molto semplice, anche se gira per Minsk guidando una Porsche Cayenne color bordeaux. Non esattamente un modo per passare inosservata. “Ma non lo faccio per ostentare e dire che sono meglio degli altri. Piuttosto, cerco di lanciare questo messaggio: ‘Io sono una di voi, guardate dove sono arrivata, potete farcela anche voi’. Più in generale, vorrei aumentare la fiducia e l’autostima dei bielorussi”. Gli occhi si illuminano quando può parlare delle sorelle Grib, Ulyana ed Ekaterina, rispettivamente 13 e 12 anni, che si allenano nello stesso centro dove lei è cresciuta. “Potrebbero diventare molto forti. Hanno una qualità estremamente rara. Quando ho chiesto I loro sogni, all’inizio erano timide e titubanti. Non volevano rispondere. Poi hanno detto: ‘Ti prego, non ti arrabbiare, ma vogliamo essere migliori di te’. In quel momento ho deciso che le avrei aiutate”. E così i soldi per l’oro olimpico vinto a Londra sono finiti nelle tasche di queste due bambine per aiutarle nelle spese di viaggio. Ogni tanto si allena con loro, le incoraggia, le riempie di consigli. “Nella cultura bielorussa ci sono tre regole – dice la Azarenka – non potrete mai capire il nostro paese senza prima comprenderle. Numero 1: la famiglia è sacra. Numero 2: fai tutto il possibile per i bambini. Numero 3, la più importante: rispetta gli anziani”. E allora torna protagonista la nonna e il famoso episodio del 2011, emerso persino nell’informazione mainstream. Vika aveva perso qualche partita di troppo e la passione per il tennis era venuta meno. “Volevo fare qualcosa di diverso, non ne potevo più. Allora ho chiesto un consiglio a mia nonna. Mi ha ascoltato, ha annuito e sorriso. ‘Devi fare qualcosa che ti renda felice. E devi continuare a farla anche nei momenti difficili’. Tutto qui. Sono tornata a casa, ci ho pensato su. E il giorno dopo ho ripreso ad allenarmi”. Nove mesi dopo ha vinto l’Australian Open ed è salita al numero 1 WTA. Adesso le chiacchiere con la nonna sono più serene. L’ultima volta che si sono viste erano sedute sul divano, e nel tavolo di fronte a loro c’erano uva, cioccolata bianca e il libro di Tolstoj, “Guerra e Pace”. E allora ci si domanda: tra guerra e pace, chi è la vera Victoria Azarenka? “Ce n’è solo una, ma ha due facce. Se vuoi vincere devi combattere, non mostrare debolezza, non essere sensibile. Se succede, la tua avversaria ti punirà. In partita sono un guerriero”. Ma poi c’è la Azarenka in tempo di pace. Le piace paragonarsi a una leonessa, che quando esce dalla tana è costretta a combattere. Uccide se è necessario, ma per I figli è la madre più amorevole possibile. Queste cose le puoi capire solo se comprendi le tre regole d’oro della società bielorussa. Dopo la pausa, Victoria ha ripreso a giocare, picchiare e strillare su ogni colpo. E continuerà a farlo, finchè avrà forza.
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