Il fuoriclasse serbo ha dominato anche Rublev, campione che cerca sempre soluzioni a tutto braccio, mettendo in mostra tutto il suo repertorio, ma impressionando soprattutto con il suo pezzo forte, la risposta. Un colpo che ormai è importante come il servizio, e nel quale gli sono antenati Agassi e Connors

Nole ribattitore moderno

Ogni match è latore di messaggi, e quello appena concluso tra Andrei Rublev e Novak Djokovic racconta della risposta al servizio come di un colpo in forte evoluzione. Scorrendo a ritroso immagini sempre più lontane, penso che fino a qualche tempo fa il gioco dell’era open avrebbe assegnato ad Andre Agassi l’Oscar di miglior ribattitore, forse in condivisione con Jimmy Connors. Seppure, a onor del vero, mi è capitato, in tempi ancora più remoti, di imbattermi in Frew Donald Mc Millan, in un doppio giocato accanto a Bob Hewit al torneo di Milano che vedeva schierati oltre la rete nientemeno che Adriano Panatta e Rod Laver. Piazzato in modo sprezzante a ridosso della riga di servizio, il sudafricano si era ostinato con successo a rimandare di là ribattute al fulmicotone con l’ausilio di audaci demivolée. Si giocava più lento, è vero, ma il servizio di Adriano già allora fischiava eccome, eppure in quella circostanza ne uscì sconfitto e un po’ indispettito.

Quanto appena visto sul centralone di Melbourne va ben oltre gli sbiaditi ricordi di cui sopra, e cavalcando l’attualità narra di grandi cambiamenti in ambito tecnico-tattico. Per dire che, così come il passante ha finito negli anni per intimorire l’attacco in approccio, altrettanto la risposta ha ridimensionato la supremazia dell’acchito. Un colpo che in alcuni momenti storici è stato fin troppo preponderante nella gestione del gioco, premiando giocatori come Tanner, Amaya, Mayotte, Curren e altri ancora; campioni incompleti che, animati da odio profondo verso i rimbalzi, alla bomba del servizio aggiungevano ben poca cosa nella tessitura del gioco.

Rublev, il Tom Sawyer del tennis

Altri tempi. Oggi, per via di un concezione nuova, la risposta non solo si è messa quasi alla pari del suo alter ego ma, a tratti, ha assunto addirittura i caratteri del colpo risolutivo. Non tanto sulla prima, in cui il ribattitore non può che incocciare il proiettile e limitare i danni; quanto sulla seconda, lì dove giocatori come Rublev e Djokovic non soltanto respingono con grande continuità, ma non disdegnano di cogliere il punto diretto, in perfetta discontinuità con l’atteggiamento di sudditanza coltivato in passato.

Dunque, nel quarto di finale fra il serbo e il russo, il ritorno al servizio è stato uno spettacolo nello spettacolo, qualcosa che a tratti ha fatto strabuzzare gli occhi. Per il resto, il match ha avuto l’esito che tutti sanno e il bilancio tra i due è di tre a uno per il serbo. Che rischierà di appesantirsi se in un prossimo futuro il russo non costringerà la bestia nera del circuito ad arrampicarsi un po’ più sui rimbalzi, invece che giocare tavoletta ad altezza fianchi. Non fosse per l’età, Rublev sarebbe un perfetto adolescente per la penna di Mark Twain! Magari, quel Tom Sawyer col viso da birba e il gusto per il sensazionalismo, versato a un gioco senza mezze misure che prevede bombe anche quando c’è da ammazzare una zanzara. E a un forte giocatore diretto sulla palla con l’idea di farla a pezzi, ha fatto eco la genia del più forte tennista del mondo, che si è limitato a replicare col solito pensiero tattico foriero di soluzioni giuste, al momento giusto e dal posto giusto.

Un bel match, tuttavia, tra un giocatore che legge il gioco come pochi nella storia di questo sport e un campione che potrebbe fare di meglio, non tanto con una tiratina d’orecchi da parte della zia Polly, quanto discutendo con il suo coach di possibili ritocchi alla visione del gioco.