L’analisi della nazionale aussie a meno di 24 ore dalla sfida con l’Italia per decretare chi sarà la seconda finalista di questa edizione della Coppa Davis
C’è ancora una volta l’Australia tra l’Italia e il sogno di Davis, una sfida ricorrente nei piani alti della competizione e affascinante per i ricordi che suscita: dalle prime due finali azzurre, perse nel 1960 a Sydney e nel ‘61 a Melbourne, alla nostra vittoria del 1976 in semifinale al Foro Italico, alla rivincita dell’anno dopo persa in finale, ancora a Sydney, fino ad arrivare al 2-0 di un anno fa firmato Arnaldi e Sinner ai danni di Popyrin e De Minaur, che ci ha regalato la seconda Davis della nostra storia. Tredici in totale gli scontri diretti, con l’Australia in vantaggio per 8 a 5. «L’Italia è una squadra dalle grandi qualità – ha detto ieri Hewitt, capitano australiano – forse la più forte qui a Malaga. Una bella sfida per noi, proveremo a invertire il pronostico, ma non sarà certo più facile del confronto di un anno fa».
Ieri, contro gli Stati Uniti, ha giocato a sorpresa, come secondo singolarista, Thanasi Kokkinakis, il grande amico di Kyrgios, frenato nella sua carriera da tanti infortuni. A 28 anni, il ragazzo di Adelaide, famiglia di immigrati greci, è 77º in classifica, con un best ranking di 65 raggiunto un anno fa. Un po’ poco per il suo tennis esplosivo, capace di regalare ancora qualche exploit, come dimostra la vittoria di Malaga su Shelton, ottenuta annullando 4 match point all’americano. «Conosco bene il livello di Thanasi – ha detto Hewitt – e so che se è in forma, come in questo momento, può battere chiunque». Kokkinakis, in campo nel 2022 nella finale persa con il Canada (fu sconfitto in due set da Shapovalov) e un anno fa sostituito all’ultimo momento da Popyrin a causa dell’ennesimo infortunio, è imbattuto da 8 partite. Dopo gli Us Open ha superato Fils e Mensik nelle qualificazioni di Davis di settembre poi ha vinto il challenger di Sydney. La sua conferma contro l’Italia (con Musetti è 0-1 mentre non ha mai affrontato Berrettini) non è però certa, dopo la faticaccia contro Shelton.
Perplessità anche sul primo singolarista. Alex De Minaur, numero 9 del mondo, reduce dalla migliore stagione della sua carriera, sembra stanco e anche un po’ acciaccato a causa di quei problemi all’anca che lo hanno accompagnato in questo 2024. Ha perso le ultime cinque partite giocate (qui contro Fritz) e soprattutto è 0-8 (con un solo set vinto!) nei confronti diretti con Sinner, che lo ha superato dieci giorni fa alle Finals di Torino (6-3 6-4) mentre un anno fa, a Malaga, lo travolse (6-3 6-0) nella seconda partita della finale. Crescono quindi le possibilità di veder scendere in campo Popyrin, numero 24 del ranking, che ha battuto Sinner 7-6 6-2 nell’unico precedente (tre anni fa…), giocato sulla terra di Madrid (è invece 1-2 con Berrettini e 2-3 con Musetti). Certo, un anno fa contro Arnaldi sprecò tante occasioni, travolto dalla tensione per una finale così importante, ma quest’anno il venticinquenne Alexei ha conquistato il Masters 1000 di Toronto, ha sorpreso Djokovic agli Us Open, un mese fa a Bercy ha battuto per la prima volta Berrettini e Medvedev. Dovrebbe trovare spazio, magari come numero 2 nel caso Hewitt pensasse all’impossibilità di battere il Sinner di questi giorni e decidesse quindi di puntare tutte le sue chance sul primo incontro.
Ci sarebbe anche l’opzione Jordan Thompson, numero 26 del mondo, trionfatore quest’anno nel torneo di Los Cabos (battendo Zverev e Ruud) e vincitore anche su gente del calibro di Rune, Fritz, Hurkacz, Ruud altre due volte, ma è probabile che venga nuovamente preservato per l’eventuale doppio con Matthew Ebden. I due non hanno mai giocato insieme in torneo, ma sono ottimi specialisti (Thompson è numero 3 del ranking di doppio, Ebden 13) come hanno dimostrato ieri contro gli Usa. Per l’Italia meglio chiudere la sfida con i due singolari, come un anno fa…