
Berrettini ha vinto di tennis, cercando di prendere sempre l’iniziativa appena possibile, ma ha vinto anche di testa, che nel suo caso significa intelligenza, maturità, educazione e persino cultura, eredità di una buona famiglia e di un buonissimo ambiente, che gli ha dato il tempo di formarsi, di capire e curare le esigenze di un fisico importante ma in passato piuttosto ballerino, fino a renderlo un punto di forza al 100%. In cinque partite non ha mai perso il servizio, in finale non ha concesso una sola una palla-break e ha giocato in maniera magistrale in quei benedetti momenti importanti che fanno la differenza fra vittoria e sconfitta, aggrappandosi al servizio. È il suo colpo migliore e l’ha usato a dovere, nell’arco dell’intera partita, servendo il 71% di prime palle e delle seconde mai al risparmio, e soprattutto nel tie-break, quando è diventato ancora più importante. In dieci punti giocati al servizio ha sparato la bellezza di sei ace (saranno 17 a fine match), bucando Bautista Agut da tutte le parti, e il tie-break l’ha chiuso 11/9 al terzo set-point, dopo averne cancellati due all’avversario. Sul primo lo spagnolo ha commesso un doppio fallo, unico grave errore di un match in cui ha regalato poco, mentre sul secondo è arrivato l’ennesimo ace di Matteo, perfetto sul 10/9. È finalmente riuscito a iniziare lo scambio, Bautista Agut si è presentato a rete giocando una volèe terribile, e lui l’ha infilato con un passante a velocità supersonica, vincendo un set fondamentale. A lui ha dato fiducia, al rivale l’ha tolta e nel secondo Matteo è stato superiore. Il 30enne di Castellon de la Plana gli ha cancellato complessivamente cinque palle-break, fra secondo e sesto game, ma al terzo assalto ha dovuto arrendersi. Sul 5-4 l’azzurro l’ha ripreso da 40-15, con un diritto spaziale si è guadagnato il match-point, e sulla seconda di Bautista Agut ha girato attorno alla palla per colpire di diritto, scaraventando sulla palla tutta la sua voglia di arrivare fra i grandi.

Quando ha capito che la palla non sarebbe tornata indietro, ha lasciato la racchetta e ha allargato le braccia, marchio di fabbrica di ogni vittoria importante, seguito da un sorriso genuino che racchiude tutta l’essenza del bravo ragazzo. Quello che al microfono per prima cosa fa i complimenti all’avversario, e poi dedica la vittoria alla famiglia. “Perché sin da bambino – ha detto – hanno creduto in me, ed è grazie a loro che ora posso giocare tornei così prestigiosi. Sono orgoglioso di loro”. E loro – e l’Italia intera – devono essere orgogliosi di lui, che a 22 anni e tre mesi è diventato il 24esimo italiano a vincere un titolo ATP, consegnando al Belpaese il suo 61esimo successo nell’Era Open, addirittura il quinto di un 2018 che al nostro tennis maschile sta regalando soddisfazioni che non si vedevano dagli Anni ’70. “È stata la miglior settimana della mia vita – ha aggiunto Matteo – e mi auguro che possa essere soltanto il primo gradino”. Le indicazioni, anche di Bautista Agut che gli ha prospettato “una grande carriera”, dicono che sarà così, perché Matteo ha tutto per arrivare. È potente ma anche solido, educato ma determinato, ha personalità, data la stazza si muove pure piuttosto bene, e soprattutto sa come giocare nel modo giusto le partite giuste. Altrimenti non lo vinci un titolo ATP al primo tentativo, non dando mezza possibilità a un avversario – sulla carta – superiore, senza nemmeno un piccolo calo, un attimo di difficoltà o un breve sbandamento. Il suo tennis non è fra i più brillanti del mondo, ma sarebbe da stupidi etichettarlo come un difetto, in mezzo a una marea di pregi, dentro e fuori dal campo. L’importante è che il gioco funzioni e lo sta facendo sempre meglio, fino a rendere possibili scenari che conviene lasciare in sospeso. Meglio fermarsi alla favolosa realtà: lunedì Matteo sarà numero 54 del mondo, e tutto dice che siamo solo all’inizio.
ATP 250 GSTAAD – Finale
Matteo Berrettini (ITA) b. Roberto Bautista Agut (ESP) 7-6 6-4
