L’argentino, con lontane origini italiane, ha sconfitto in finale Filip Cristian Jianu

Federico Augustin Gomez – Foto Francesco Peluso

Si vedeva. Già domenica scorsa, durante il primo turno di qualificazione, sotto il cielo plumbeo di Milano, Federico Agustin Gomez colpiva la palla in modo fantastico. Lo conoscevano in pochi, non era certo tra i più accreditati dell’ASPRIA Tennis Cup – Trofeo BCS (74.825€, terra battuta), invece ha raccolto sette vittorie e ha sigillato la settimana delle prime volte. Prima semifinale, prima finale e prima vittoria nel circuito Challenger. Ciliegina sulla torta, una classifica al numero 224 ATP che gli garantirà le qualificazioni dello Us Open. Fantascienza, fino a qualche tempo fa. Scintillante realtà vedendo giocare un ragazzone dal fisico imponente (191 centimetri per 95 chili) e dotato di un servizio potentissimo, che nella finale contro Filip Cristian Jianu ha toccato punte di 229 km/h. “Dicono che assomiglia a quello di Agustin Calleri, pare che lo ricordi anche nel modo di camminare” dice Gomez, felicissimo per un successo che può cambiare una carriera dal percorso molto particolare. Ha studiato, si è laureato, aveva smesso e si era dedicato all’insegnamento a Miami. Poi ha scelto di darsi una seconda chance e oggi ride, perché a 27 anni e mezzo può diventare un giocatore molto interessante. Gli anni trascorsi negli Stati Uniti hanno formato un tennista ben diverso dagli standard del tipico sudamericano. Gomez picchia duro, durissimo. E lo fa con discernimento, anche grazie ai consigli di coach Cesar Chiappari, con il quale ha iniziato a lavorare proprio questa settimana. “Direi che non abbiamo fatto un brutto lavoro” ha detto durante la premiazione. Aveva impiegato un’ora e ventisei minuti per battere Jianu, mostrando una qualità superiore. La sua palla viaggia troppo più rapida, e l’esito della finale non è mai stato in discussione. Pronti, via, 2-0. Jianu ha avuto la sua unica palla break sul 2-1, cancellata da un gran servizio di Gomez. L’argentino ha poi brekkato di nuovo sul 5-3, mentre nel secondo c’è stato più equilibrio. Soltanto un netto calo di Gomez, tuttavia, avrebbe potuto rovesciare l’esito. Si è trovato 0-40 sul 4-3 e Jianu si è salvato. Scenario analogo sul 5-4, e il secondo matchpoint è stato quello buono. Dopo l’ultima volèe vincente ha lasciato cadere la racchetta per terra.

“Non mi aspettavo certo di vincere il torneo – racconta – ovviamente vuoi fare le cose per bene, ma era anche la prima settimana di lavoro col mio nuovo coach. Abbiamo deciso di pensare a un match alla volta, migliorando i dettagli partita dopo partita”. Sulla finale, Gomez è convinto che la chiave sia stata la parte mentale. “Lui sta giocando un ottimo tennis, e comunque ogni partita ha avuto le sue problematiche. Sono rimasto tranquillo, sapevo che se avessi fatto il mio gioco c’erano buone chance. Per questa tranquillità devo molto a Cesar, è stato capace di trasmettermela per tutta la settimana”. Gomez ha frequentato l’università negli Stati Uniti, rappresentando la franchigia dei Louisville Cardinals. Carriera completa, con tanto di laurea, e utile per imparare a gestire la pressione: il Campionato NCAA obbliga a giocare in contesti difficili. “In realtà sono due sport diversi: qui giochi per te stesso, mentre nel Campionato Universitario sei in squadra. A volte vinci ma la squadra perde, e sei comunque triste. Però mi è servita a gestire le pressioni, facendomi capire cosa si può controllare e cosa no. È stata la scuola ideale per definire le mie priorità”. Il modo di esprimersi, il suo atteggiamento verso il prossimo e tanti piccoli dettagli delineano una persona colta, che a diciotto anni ha lasciato il tennis dopo aver ottenuto il primo punto ATP. “I miei genitori mi hanno sempre spinto a studiare – racconta – all’inizio non volevo, credevo che avere classifica ATP risolvesse la mia vita. Ben presto ho capito che non era cosi, e col senno di poi sono contento di essere andato negli Stati Uniti. Ho fatto tutto il ciclo, terminando a 22 anni”. Ok, ma i tempi non tornano. Ha ripreso a giocare solo nel settembre 2021: cosa è successo nel frattempo? “Per questioni di vita ho smesso di giocare a tennis dopo la laurea. Ho fatto il maestro a Miami per due anni e mezzo, poi ho deciso di darmi una chance. Non avevo nessun obiettivo, anche perché non avevo molte risorse economiche. Ho potuto giocare perché alcuni amici mi hanno prestato dei soldi. Sono amici, non investitori: sto provando a restituire gradualmente il denaro, ma mi hanno già detto che non vogliono nulla indietro. Sono fortunato, perché in Sudamerica è molto difficile iniziare a giocare. Io sono grato di questa possibilità: mi guardo indietro e mi rendo conto che è valsa la pena sforzarmi così tanto negli ultimi due anni e mezzo” racconta Gomez, che come circa la metà degli argentini ha origini italiane: i suoi nonni sono partiti da Varese nel secolo scorso, in cerca di fortuna in Argentina. Si chiamavano Clerici, cognome che nel tennis non è così banale.

“Questo successo cambia un po’ le prospettive – dice Federico Agustin, il cui fratello maggiore fa lo chef in Brasile – mi hanno detto che le qualificazioni allo Us Open sono quasi garantite, ma adesso continuerò a giocare e competere per migliorare ogni giorno. Mi vedrete a Modena e poi a Trieste. A quel punto dovrò tornare alla base, a Miami o in Argentina, per preparare la stagione sul cemento. Nessun obiettivo di classifica, vorrei soltanto giocare più partite possibili senza farmi male”. Per lui sarà emozionante giocare il primo Slam proprio a New York, laddove c’è il campo dei suoi sogni: quando gli abbiamo chiesto – in virtù della sua particolare provenienza – su quale superficie giocherebbe la partita della vita, gli si illuminano gli occhi. “La mia partita ideale, o quella che vorrei almeno giocare, sarebbe sull’Arthur Ashe Stadium di New York. Sarebbe magico”. Intanto metterà piede nell’impianto dedicato a Billie Jean King, laddove nel 2000 vinse il suo primo idolo, Marat Safin. “Sono cresciuto negli anni della Legiòn, ma non avevo un vero e proprio giocatore preferito. Mi piacevano Nalbandian, Coria, Gaudio… ma il mio preferito era Safin”. Se continua a giocare così, magari confermando l’alchimia con Chiappari, può davvero arrivare nel circuito maggiore, confermando la bontà della scuola NCAA. “L’università mi ha formato come persona – racconta – ho vissuto a lungo da solo. I miei mi sostenevano, ma erano lontano. Credo sia una buona strada perché ti insegna a essere ordinato. Prima giocavo bene, ma ero molto disordinato fuori dal campo. A Louisville ho imparato a rispettare gli orari, studiare ed essere disciplinato. Non hai alternativa: sono i coach a stabilire le regole. Mi è servita per imparare a gestire il tempo, alternando nel modo giusto lavoro e riposo”. Con il successo di Gomez, l’Argentina diventa la nazione più vincente nella storia dell’ASPRIA Tennis Cup. Con cinque titoli supera Italia e Spagna, ferme a quattro. Va in archivio un’edizione che ha superato a pieni voti le difficoltà meteo: si è passati dalla pioggia insistente dei primi giorni fino al caldo torrido di venerdì e all’afa della giornata finale. Nonostante le difficoltà, lo staff dell’ASPRIA Harbour Club si è impegnato al massimo e ha permesso che il torneo terminasse regolarmente sabato, per la soddisfazione degli sponsor e del pubblico che che ha affollato in buon numero il Campo Centrale, nonostante l’assenza di giocatori italiani in finale.