Dopo un grande inizio di carriera, Ana Ivanovic si è persa tra un mucchio di problemi e promesse non mantenute. Il nuovo staff, tutto serbo, sarà in grado di farla tornare tra le migliori?
Ana Ivanovic ha perso diverse partite. Ma non le richieste di servizi fotografici
Di Riccardo Bisti – 10 gennaio 2014
Quando aveva 20 anni, Ana Ivanovic ha vinto il Roland Garros. Due giorni dopo, la classifica WTA l’ha issata al numero 1. Il presente era luminoso, il futuro si presentava ancora più scintillante. Sul campo si faceva notare con il dritto e il servizio, fuori con ben altre doti. Quando era ancora vivo, l’Avvocato Agnelli aveva preso in prestito la commedia di Samuel Beckett “Aspettando Godot” per soprannominare Alessandro Del Piero. Dopo l’inizio travolgente, culminato nel gol decisivo nella Coppa Intercontinentale, ‘Pinturicchio’ ebbe un lungo periodo di crisi. E l’Avvocato, che non parlava mai a caso, coniò un soprannome entrato nella leggenda. Difficile dire se Godot sia arrivato. Secondo alcuni si, per altri no. Il Godot del tennis si chiama Ana Ivanovic. Dopo il trionfo a Parigi, la bella serba ha avuto problemi di gestione del match, guai al servizio e una serie di infortuni. Un mix letale, foriero di una crisi d’identità che l’ha portata a cambiare allenatori come se fosse Zamparini. Al di là dei servizi fotografici, più o meno sexy, la Ivanovic è una seria professionista. Si allena con dedizione e il continuo cambio di coach denotava l’esigenza quasi ossessiva di risolvere i problemi. Oggi ha 26 anni e fa l’ennesimo tentativo, forse estremo, forse no. Si è affidata a chi parla la sua stessa lingua. “Ho lavorato duramente negli ultimi mesi – ha detto – da luglio ho un team tutto nuovo. Per la prima volta sono seguita da uno staff interamente serbo”. Il nuovo clan Ivanovic comprende l’allenatore e palleggiatore Nemanja Kontic (già giocatore di Coppa Davis per il Montenegro), il preparatore atletico Zlatko Novkovic e il fisioterapista Branko Penic. Hanno preso il posto di Nigel Sears, sollevato dall’incarico dopo la sconfitta al secondo turno di Wimbledon per mano di Eugenie Bouchard.
Dalla famosa vittoria a Parigi, Ana non ha mai superato i quarti di finale. Negli ultimi 22 Slam, ha un solo piazzamento nei quarti (Us Open 2012) e otto negli ottavi. Un po’ poco, per una come lei. Verrebbe da pensare che sia sovrastimata, e che i magici 12 mesi tra il 2007 e il 2008 (una vittoria, due finali e una semifinale in cinque Slam) siano stati un caso. Lei, ovviamente, non ci sta. Ha lavorato fino al 2006 con Zoltan Kuharsky, poi si sono avvicendati al suo angolo nomi importanti: David Taylor, Craig Kardon, Heinz Gunthardt, Antonio van Grichen e Nigel Sears. Senza contare i tecnici del Team Adidas, che di tanto in tanto le hanno dato una mano. Tra loro, Sven Groeneveld, che oggi siede all’angolo di Maria Sharapova. La stessa girandola è arrivata per i preparatori atletici. Niente da fare. Il nuovo team sta cercando di farle ricordare il motivo per cui ha preso in mano una racchetta a cinque anni: divertirsi. Stanno cercando di farle riscoprire la parte ludica del gioco. Kontic (32 anni, ancora presente nel ranking ATP di doppio) può offrirle quello che gli altri coach non potrebbero mai darle: la condivisione dell’identità culturale. E non serve citare gli eccessi di Sinisa Mihajlovic per capire che in Serbia è molto importante. “E’ ottimo avere qualcuno che parla la stessa lingua e mi può capire a fondo” ha detto una Ivanovic super-ottimista. Forse non è un caso che abbia iniziato il 2014 vincendo un torneo WTA dopo un digiuno di oltre due anni (l’ultimo successo risaliva al novembre 2011, Tournament of Champions di Bali).
Dopo aver guidato il ranking WTA per dodici settimane (tante quante Boris Becker, che però ha vinto sei Slam), era precipitata nei meandri del ranking WTA. Adesso è 14esima, incapace di tornare tra le top-10 da quattro anni e mezzo. Polso, spalla, piede, anca e addominali l’avevano fatta scendere fino al numero 65. Le oscillazioni in classifica non hanno intaccato il suo appeal commerciale. Maria Sharapova e (soprattutto) Anna Kournikova insegnano. Basta avere curve e misure giuste, un buon ufficio comunicazione, e il gioco e fatto. Secondo le classifiche di Forbes, nel 2013 è stata la nona atleta più pagata al mondo, con introiti di circa 7 milioni di dollari. Oltre agli sponsor tecnici Adidas e Yonex, i partner più munifici sono Juice Plux e Dubai Duty Free. In questi anni ha avuto alcuni fidanzati di alto profilo: Fernando Verdasco, il golfista Adam Scott e l’ex tennista Mark Stilitano, oltre a una breve liason con il cestista Ivan Paunic, terminata, pare, per la mancata approvazione dei genitori di lei. La vittoria ad Auckland, dove ha superato in finale Venus Williams, è stata il modo migliore per preparare Melbourne. Ma, per tornare al paragone con Del Piero, è come segnare un gol in Coppa Italia, oppure in un match non decisivo di campionato. Le manca la zampata decisiva. Melbourne le piace, vanta una finale. Nella singola partita può battere molte giocatrici, ma ad oggi manca di continuità. Chissà che il nuovo motore serbo non riesca nell’impresa. E intanto la bella Ana ha già iniziato a pensare alla vita dopo il tennis: “Ma credo di poter vincere ancora molto nel tennis – ha detto – non voglio stabilire una data per il ritiro: penso che saprò capire quando è il momento giusto. La famiglia è molto importante per me, vorrei avere tanti figli. Il tennis è una gran parte della mia vita, ma non è tutta la mia vita”. Forse è questo il motivo per cui è diventata una Godot in gonnella.
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