Il racconto di uno spettatore che ha trascorso una giornata al Masters 1000. "Appunti disordinati" che però sono anche una preziosa guida. DI MASSIMO GARLANDO
Kei Nishikori è stato il più disponibile con i bambini a caccia di autografi

Di Massimo Garlando – 22 aprile 2012

 
Per chi ha più di trentacinque anni e ricorda quando il grande tennis era ancora visibile ai comuni mortali, l'appuntamento con il torneo di Montecarlo ha sempre rappresentato l'inizio della primavera. In un duello un po' blasfemo con la Pasqua (che però patisce le bizzarrie della luna), era la voce di Lea Pericoli e Nicola Pietrangeli, in diretta dal Principato sugli schermi di Tele Montecarlo, a certificare la fine dell'inverno, il ritorno del verde sugli alberi dei viali di Torino e l'alleggerirsi dell'abbigliamento delle compagne di classe. Tutte cose alquanto gradevoli e gradite. Questo per dire che il mio legame con l'evento monegasco è abbastanza datato. E per spiegare come mai, qualche anno fa, ho accettato di buon grado la proposta di aggregarmi a un gruppo di suiveurs, che da lustri parte all'alba dalla cintura torinese per ritirarsi in tarda serata, stanco ma felice. E ancora per sottolineare il fatto che, anno dopo anno, la gita al Country Club continua a mantenere il suo fascino. Non c'è più l'emozione del battesimo, quella meraviglia del bambino che arriva nel paese dei balocchi e sta lì, a fissare nel suggestivo albo d'oro i nomi di chi ha trionfato qui, dai Doherty a Nadal, passando per Nastase, Borg o Muster. E' naturale: quando oltrepassi per la prima volta i cancelli del circolo è un'altra storia. Che poi non sono neanche cancelli, ma è un tendone, dove viene fatto il controllo elettronico dei biglietti e viene data un'occhiata alle borse. Se sei particolarmente sfigato ti requisiscono la borraccia in metallo ma la conservano in una strana cassapanca di legno e a fine giornata te la restituiscono. E' capitato quest'anno a uno del gruppo, esordiente, che durante la giornata di tanto in tanto spariva per andare a bere, sotto l'occhio attento dei vigilantes.

Sorvolando sul parcheggio e sulle modalità di accesso pedonale al Country Club, visto che sono stato accusato dagli inferociti compagni di viaggio di aver svelato sul web alcuni astuti trucchi (infatti al solito posto c'era una ressa di auto allucinante e abbiamo camminato il triplo rispetto agli altri anni: non so se essere felice per la popolarità o se darmi del fesso. Credo la seconda), proverò a dispensare alcuni consigli utili, oserei dire essenziali, per vivere al meglio la giornata rivierasca. Intanto sgombriamo il campo e diciamo ai bambini che Babbo Natale non esiste: il Monte Carlo Rolex Masters eccetera non si svolge a Monaco, dacché il Circolo che lo ospita ha sede nel territorio (francese) di Roquebrune-Cap-Martin. Anzi, a dirla cinicamente tutta, chi arriva dall'Italia non entra neanche nel territorio del Principato, ma si limita ad ammirarne dall'alto – percorrendo, spesso in coda, le stradine che dall'autostrada (uscita Roquebrune-Monaco) portano verso il mare – i suggestivi scorci, i panfili ormeggiati nella baia e, talvolta, gli ecomostri. Scordatevi quindi il Casinò, la curva del tabaccaio, Santa Devota o altre amenità retaggio della Formula 1: l'unica volta in cui ho varcato i confini monegaschi avevamo sbagliato strada. Regola numero uno: evitate di sfottere i passanti in italiano, confidando nella mancata comprensione altrui. L'80% del pubblico è costituito da nostri connazionali, provenienti di solito dal nordovest (evitate, quindi, per non correre rischi, anche il dialetto). Lo sanno tutti, anche il celebre giudice di sedia Mohamed Lahyani, che è riuscito a far accomodare un arzillo signore soltanto apostrofandolo con un perentorio "Seduti, per favore". Si era all'inizio del match tra Benneteau e Melzer e, nota a margine, quando gli spunti principali proverranno dal trespolo dell'arbitro, non avrete assistito a una bella partita; ma Lahyani è fatto così, gigioneggia, commenta, coinvolge i giudici di linea: è così egocentrico che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa e a un funerale il morto (cit.). Li riconoscerete con assoluta certezza, molti degli italiani in trasferta, per l'espressione mesta che avranno a fine giornata, dopo aver assistito alle mirabolanti imprese degli eroi del movimento in salute.

Secondo consiglio fondamentale: se non siete Briatore (che mercoledì c’era) o Pietrangeli (che c'è sempre), portatevi il triste, mediocre ma salvifico pranzo al sacco. Ufficialmente perché a cavallo dell'ora di pranzo si disputano gli incontri più interessanti, ma anche perché un semplice pasto ha costi esorbitanti. In terzo luogo, procuratevi calzature comode. Niente schiacciacalli per lui o tacco 12 per lei, a meno che non passiate la giornata ai tavolini della zona vip. Già, perché la morfologia della Costa Azzurra non è esattamente quella della steppa sconfinata, e la ridente Roquebrune-Cap-Martin non fa eccezione. Il Country Club è un saliscendi continuo, dall'ingresso al Court Des Princes – appellativo pomposo per identificare il Centralino – al Centrale, agli stand pubblicitari, ai campi d'allenamento, financo ai bagni, è tutto un susseguirsi di scalini, di discese ardite e di risalite. Ed è così per tutto il giorno, otto ore circa. Poi non dite che non vi avevo avvertito. Non dimenticate una confezione di crema solare: il sole marittimo, ancorché di aprile, fa brutti scherzi, specie per il colorato bianchiccio degli abitanti delle città padane dopo un lungo inverno. E portatevi anche un impermeabilino leggero, anche se io non ho beccato una goccia di pioggia (sono stato fortunato, di solito la cautela porta bene).

Capitolo biglietto: andava affrontato prima ma questi, non a caso, sono appunti disordinati. Le tipologie principali sono due, Centrale più secondari (campo 2, l'unico con il tetto semovente, più i periferici 9 e 11, capienza assai limitata) oppure Court Des Princes più secondari. Io ho sempre scelto la seconda opzione, intanto per la mia scarsa simpatia nei confronti dei superbig (che vanno, ovviamente, sul Centrale) e, di conseguenza, perché sul Centralino è più facile imbattersi in incontri equilibrati e divertenti. Quest'anno, tra Centralino e campo 2 ho seguito due top 10 (Berdych e Tsonga, quest'ultimo in doppio), due che nei top 10 ci sono stati (Almagro e Melzer) uno che ci sarà presto (Nishikori) e uno che ci sarà prima o poi (Tomic), oltre ovviamente al Guru Dolgopolov. Non esattamente dei peones. Ma io sono sempre andato di martedì o di mercoledì, è chiaro che non consiglierei mai questa tipologia di biglietto a chi punta ai quarti di finale del venerdì (vedrebbe solo doppi e mi manderebbe al diavolo), figurarsi sabato e domenica. Per chi vuole raccontare ai nipotini di aver visto da vicino Nole, Rafa o Roger (che quest'anno non c'era), l'unica scelta è il Centrale. E se si sceglie il Centrale, non conviene badare a spese. Gli spalti, divisi in vari settori (con prezzo crescente in base ai giorni e a seconda della vicinanza con il campo) sono digradanti, molto digradanti; scordatevi i posti più economici, per beccare un posto in ultima fila, tanto vale risparmiare e andare al curvone della strada provinciale. Si vede praticamente nello stesso modo. I prezzi del Centralino, pù economici, disegnano una parabola che raggiunge il culmine il giovedì, il giorno degli ottavi (pioggia permettendo), quattro sul Centrale e quattro sul Centralino. Detto delle postazioni tv, che si trovano sopra la terrazza ristorante che sta sopra il Centrale e dove capitava di incrociare Gianni Clerici e Rino Tommasi (o il compianto professor Lombardi con tanto di sigaro), due parole sull'altra tappa obbligata, quella degli stand promozionali (dove i giocatori fanno visita allo sponsor per qualche seduta di autografi): io l'ho frequentata veramente poco, a parte il primo anno, quando acquistai per i miei figli due spettacolari racchettine in scala che non furono minimamente calcolate dai beneficiari. Anche gli amici classificati, supertecnici e aggiornatissimi, non si soffermano più di tanto, il che mi fa pensare che si tratti più di fumo che di arrosto.

Ci sono poi i campi di allenamento, posizionati nella parte alta, nell'acropoli del circolo. Sono un'ottima alternativa al programma, specie se questo prevede un incontro di Montanes (lo prevede sempre, almeno quando vado io. Confidavo in una rapida sconfitta: niente, per dispetto ha passato un turno pure stavolta). Tenendo presente che le sedute dei supermegabig sono praticamente inavvicinabili (causa affollamento), è possibile incontrare l'appassionato a caccia di una foto ricordo ravvicinata (sceglierà i primi campi che si incontrano salendo, quelli con terrazzino panoramico), il feticista dello step (che opterà per l'ultimo, quello senza terrazzino, dove dalla porta d'ingresso si vedono solo i piedi di chi si sta allenando) e, soprattutto, orde di bambini con una palla gigante, in attesa della fine della seduta per conquistare l'agognato autografo del misconosciuto doppista. Più che di autografi parlerei di scarabocchi (tanto che molti ragazzini scrivono subito, in stampatello, il nome dell'autore. Altrimenti col cavolo che se lo ricordano). I tennisti si possono dividere in due categorie: quelli che dopo due o tre ghirigori scappano via infastiditi e quelli che resterebbero ore a regalare un sorriso ai piccoli appassionati. Curiosamente, quello che ho visto giocare meglio (Benneteau) si è rivelato massimo esponente della prima categoria, facendo scappare via tra le lacrime di delusione un bimbo che aspettava con il suo cappellino bianco. Mentre Nishikori, lo sparapalle samurai, che ha un gioco da machete affilato sulle vene e, se fosse spagnolo, sarebbe liquidato alla voce "fetido arrotino", è andato avanti per dieci minuti, firmando e rifirmando, con un gran sorriso e tanta disponibilità, acquistando parecchio punteggio nella mia personale classifica.

Ci sarebbe ancora molto da raccontare, da "Madame asseyez-vous", la gentile ma ferma addetta che invitava gli spettatori a sedersi dopo il cambio di campo, all'arzillo nonnetto che è rimasto tre ore in piedi sotto il sole a vedere gli incontri del campo due da un terrazzino (i maligni dicevano a scrocco. In effetti non si capiva da dove fosse passato). Chiudo dicendo che, a pelle, ho la netta sensazione che il Monte Carlo Rolex sarà Masters (1000) ancora per pochi anni, e che presto sarà rimpiazzato da un asfittico e miliardario appuntamento in qualche emirato, con una media di 20 spettatori per incontro ma tanti petrodollari / euro a disposizione. E, d'altra parte, hanno rasato a zero senza problemi l'erba di Wimbledon, cosa saranno mai centovent'anni di storia del tennis di fronte al business? Sarà un peccato e, quindi, nel dubbio, questi ultimi anni al quasi-top me li godo. E consiglio a tutti di fare altrettanto.