L'avvento di Dave Haggerty a capo dell'ITF non stravolgerà il programma antidoping ITF.  Ma quel che è successo in Russia ha acceso l'allarme: dal 2017 dovrebbero essere aumentate le risorse e controllati il 75% dei professionisti. Le risposte ad alcune critiche. 

Il "doping di stato" operato dalla Russia ha scosso le coscienze dello sport mondiale. La piaga è nota da anni, ma l'antidoping fatica a tenere il passo. Casi come quello di Lance Armstrong lo dimostrano e hanno gettato più di un'ombra sui campioni di oggi. Onestamente, è difficile mettere la mano sul fuoco su chicchessia. La vicenda russa è emersa poco prima delle ATP World Tour Finals: per questo, tutti i migliori tennisti hanno detto la la loro. Federer ha chiesto più risorse e non capisce perché dai quarti in poi ci siano così pochi controlli nei tornei, anche in quelli più grandi. Andy Murray si è rifatto al caso Armstrong, dicendo che è la qualità dei controlli a fare la differenza, ancor più della quantità. Rafa Nadal ha detto che gli esiti dovrebbero essere sempre resi pubblici. L'unico a dire che va più che bene così, ed anzi si esagera, è stato Novak Djokovic. Il serbo è stato critico sulla norma dei “whereabouts”, a suo dire molto stringente. Forse troppo. Inoltre non gli è andata giù la squalifica dello scorso anno al suo amico Viktor Troicki. I controlli antidoping nel tennis sono gestiti dall'ITF, firmataria dei codici WADA. Però qualcuno ha criticato una certa elasticità e l'incapacità di “beccare” un atleta davvero importante. Dopo 16 anni di presidenza Ricci Bitti, da un paio di mesi la Federazione Internazionale è presieduta dall'americano Dave Haggerty: è possibile che con lui ci sia ancora maggiore attenzione al doping. “Fatti come quello della Russia sollevano un allarme. Tutti, nessuno escluso, dobbiamo guardare quello che facciamo – ha detto Haggerty in un'intervista col New York Times – noi vogliamo essere sicuri di avere i migliori programmi possibili, qualunque sia l'argomento”. Per ora non è stata provata la colpevolezza del presidente IAAF Lamine Diack, ma il terremoto è già scoppiato e la stessa IAAF sta chiedendo alla WADA di verificare i test di tutte le federazioni nazionali. L'operazione cancellerebbe ogni conflitto di interesse: in effetti, una federazione nazionale non ha certo interesse a squalificare un proprio atleta. Haggerty vede con favore una centralizzazione della cosa, una specie di “cane da guardia” che tenga sotto controllo l'integrità del gioco.


PASSAPORTO BIOLOGICO: SCHEDATI 600 GIOCATORI

Secondo Stuart Miller, responsabile del programma antidoping ITF, l'eventuale entrata in scena della WADA potrebbe richiedere dai tre ai cinque anni. “E in questo periodo non possiamo certo restare con le mani in mano”. Haggerty ha già parlato con gli altri enti (ATP, WTA e tornei del Grande Slam) sull'annoso tema delle risorse da destinare all'antidoping. Il budget attuale è di quattro milioni di dollari, e l'eventuale aumento sarà deciso nel 2017. “Se nel 2017 triplicassimo le risorse vorrebbe dire che quelle attuali sono sono insufficienti, invece non credo che la situazione sia tragica” ha detto Haggerty. In effetti è vero che dal 2012 a oggi il numero di controlli è aumentato sensibilmente. Inoltre è stato istituito il passaporto biologico, che permette di monitorare un giocatore secondo parametri non sempre legati alla positività nel singolo test. Ad oggi, circa 600 tennisti hanno un loro profilo. Inoltre è in crescita il numero dei controlli effettuati fuori dalle competizioni: in questo momento oscillano intorno al 50%. In pochi anni, sono passati da 63 a 1139. Alcuni di questi sono stati effettuati nelle sedi dei tornei su tennisti già eliminati e quindi classificati come “fuori dalle competizioni”, ma si tratta del 10% del totale. Tali sforzi sono stati apprezzati dal direttore generale WADA David Howman. A suo dire, la notizia migliore è l'impegno dei top-player nel parlare dell'argomento e tenere alta l'attenzione. “Un fenomeno quasi unico se pensiamo agli altri sport. Dal 2009 a oggi, tanti giocatori hanno cambiato idea sulle nostro programma e lo trovo encomiabile”.


186 CAMPIONI DA RECUPERARE

In merito ai controlli durante i tornei, Miller ha risposto a Federer dicendo che nelle fasi finali sono di meno perché ritenuti meno efficaci. Soltanto gli sprovveduti rischiano di essere scoprti durante un torneo. “Non è possibile testare tutti i giocatori dopo ogni partita – dice Miller – abbiamo scelto un mix tra equilibrio e deterrenti. E comunque in tanti tornei ci sono i test fino alla finale. In altri cerchiamo di testare gli eliminati ai primi turni che poi, magari, sfuggiranno al programma per un po'. Dobbiamo essere imprevedibili. Proprio in virtù di questo, preferiamo non rendere pubblico il fatto che un giocatore è stato testato. Non possiamo dare punti di riferimento”. Una delle critiche maggiori al programma è l'assenza di positività tra i top-players. Sinonimo di inefficacia? “Veramente abbiamo trovato positivi Puerta, Hingis, Gasquet e Cilic: tutti top-10. Ad ogni modo ci sono state ottanta violazioni negli ultimi 25 anni, il che significa che il 6-7% erano top-10. Quindi non credo sia vero che non prendiamo i migliori. Semmai è vero che non ci limitiamo a testare soltanto loro”. L'obiettivo per il 2016 arrivare a testare tre quarti dei professionisti, circa 2.000. Però il tennis resta uno sport a rischio: dopo i recenti fatti di Mosca, è doveroso ricordare che negli ultimi 20 anni la presenza russa è stata piuttosto importante. “Ma nel tennis i giocatori non stanno molto nel loro paese e noi abbiamo spesso controllato i tennisti russi fuori dalla Russia” dice Miller, che ha una risposta su tutto anche se non sempre è stato esente da critche. In questo momento la Russia non ha un laboratorio internazionale certificato WADA, perchè l'attuale è stato dequalificato. Alcuni campioni sono stati distrutti, ma Miller ha detto che l'ITF sta cercando di far uscire dal paese 186 esami fatti su tennisti e ripeterli presso altri laboratori. La sfida è chiara: recuperarli in tempo affinchè i test siano attendibili, soprattutto quelli sul sangue. Già, perché dopo un po' non hanno più valore. La battaglia è appena cominciata.