Andy Murray saluta Wimbledon ricevendo il tributo dell’intero centrale. A noi corre il vincolo spontaneo di considerarlo ad oltranza un fab four
Sono lontani i tempi in cui Andy Murray, con buona complicità di Sean Connery, usava definirsi scozzese doc alludendo ai nati in Glasgow come a soggetti ricchi di cromosomi con una marcia in più. Un po’ come gli anticorpi con i controzibidei che Carlo Verdone appioppa con orgoglio al popolo dei romani. Il tributo ricevuto ieri sul centrale di Wimbledon era invece tutto britannico e Sir Andrew Barron Murray, detto Andy, l’ha incassato a piene mani senza sprecarne un solo clap. Ne avrà bisogno per capire se consumare altri tentativi di ritorno o far tesoro di un grande passato e lanciarsi andare a un futuro diverso dal tennis.
A noi corre il vincolo spontaneo di considerarlo ad oltranza un fab four, l’elite di fuoriclasse da cui è stato frettolosamente strappato via ai primi sintomi di una patologia che l’ha costretto al ritiro da numero uno del mondo. Uno spartiacque che ha ridotto a una questione a tre la storia tennistica degli ultimi anni. Ma se il passato ha un peso e l’esperienza pure, Murray merita di appartenere alla narrazione dei più grandi come un superiellato che, quanto a schemi di manovra, dava la stecca a tutti per la capacità di muoversi un colpo per l’altro ricavando la cosa giusta, dal punto giusto, nel momento giusto. Un’evoluzione di quel Gattone Mecir che da un gioco all’olio di oliva traeva ragnatele da provetto geometra tessute col sostegno di talento e sentimento. A quella visione di gioco, Murray ha dato potenza e velocità inserendo apparizioni a rete uscite dal nulla e facendone un’espressione tecnico-tattica di grande fattura di cui si è dimostrato un asso assoluto. Tanto da non negarsi 46 titoli in carriera sfiorandone molti altri nelle 22 finali perse, otto delle quali a livello slam, perse di misura in un periodo nel quale i rimanenti tre facevano man bassa del resto.
Molti anni da fab iniziati con la finale agli Us Open del 2008 persa contro Roger Federer. Una lontana sconfitta combaciata con un’investitura sul campo. “Ho sempre pensato che Andy fosse un incredibile talento – esordiva lo svizzero in sala stampa – aveva solo bisogno di mettere a posto un po’ di cose. E’ un giocatore che dispone di almeno tre opzioni di gioco e questo lo rende pericoloso per ogni avversario”! Ma bando ai ricordi! Un balzo nell’attualità racconta dell’ottimo torneo consumato dallo scozzese in questi giorni sul centrale di Wimbledon. Due match portati a termine con grande fatica e uno spostamento ancora lontano da quello che fu. Ieri contro Shapovalov, la palla sembrava correre un po’ troppo, tanto da far pensare che, al di là degli acciacchi, la rapidità di gioco sia l’elemento distintivo che sta esaltando lo scatto generazionale in atto. Un cambiamento che tuttavia non deve precludere allo scozzese i giusti riconoscimenti. “Non è mai accaduto, nella storia dello sport”, ha detto tempo fa Thiem , “che i tre migliori di sempre giocassero nella stessa epoca. Capite quanto sia difficile per gli altri?”. Si, che lo capiamo! Ma perché tre: non erano quattro? Nella sua esternazione, l’austriaco aveva dimenticato Andy Murray. E come per lui, il quarto fab si è eclissato in modo ingiusto anche per molti addetti ai lavori E’ il destino degli assenti, dirà qualcuno! Senza sapere che se questo può valere nella politica, per lo sport non ha nessun senso e stride con i meriti acquisiti sul campo.