In una lunga intervista concessa alla stampa italiana il presidente dell’Atp fa il punto sulla difficile stagione in corso e svela i suoi progetti futuri: tre Slam e 7 Master 1000 per salvare l’anno, con quattro settimane sul rosso a ottobre. Più unità fra Atp, Wta, Itf e Grand Slam per il futuro: il modello è la musica che ha saputo rinascere sul digitale. Il Roland Garros? Perdonato

Chiudere l’anno con tre Slam su quattro sarebbe importante

Andrea Gaudenzi è arrivato alla guida dell’Atp a gennaio: non il miglior timing, stavolta, per l’ex n.19 del mondo. «Prima gli incendi in Australia, ora il coronavirus: non voglio pensare al prossimo problema…», prova a sdrammatizzare Andrea, protagonista oggi da Londra di una conference call riservata alla stampa italiana.

Andrea come stai vivendo vivendo da presidente Atp questo momento?

«E’ difficile dire qualcosa, noi italiani insieme alla Cina siamo quelli che hanno sofferto più di tutti. C’è grande preoccupazione fra giocatori, organizzatori, addetti ai lavori. Cosa faremo? Ci chiediamo tutti, quando ricominceremo? Tanta ansia, tante domande, purtroppo con poche risposte perché nessuno oggi sa con certezza quando torneremo in campo. E del resto oggi il tennis non può essere la priorità, dobbiamo pensare ai malati, a medici e infermieri che lottano in prima linea. Dall’inizio la nostra strategia è stata di mettere al primo posto salute e sicurezza, infatti abbiamo cancellato Indian Wells con tutti i giocatori già sul posto, mentre nella Nba ancora si giocava».

Non ti aspettavi una partenza del genere per il tuo mandato…

«Sono stato tanti anni fuori dal tennis, se ho voluto rientrare è perché ho visto una opportunità enorme. Ma mi sono ritrovato a gestire una situazione che rallenta anche i piani per il futuro. Ora bisogna affrontare una crisi, da cui però può nascere l’opportunità di una collaborazione interna fra Atp, Wta. Itf e tornei del Grand Slam. Il mio concetto di base è che siamo uno sport solo, con una storia che raccontiamo tutti insieme. Purtroppo il tennis è molto frammentato, sia nelle regole – pensiamo ai tanti formati – sia nella gestione dei dati e dei diritti sportivi».

La decisione di Parigi di spostarsi a settembre ti ha sorpreso?

«Diciamo che è stato il segnale che ha fatto capire a tutti che c’è bisogno di più regole. Detto questo, la mossa del Roland Garros è anche comprensibile da parte della federazione francese. La sera prima c’era stato un discorso drammatico di Macron, sono andati un po’ nel panico, hanno deciso di piantare la bandierina a settembre prima che lo facessero altri. Ne ho parlato con il presidente Giudicelli, che ha capito che certe cose non sono ammissibili e ha fatto un passo indietro. Ne è scaturita una discussione importante con tutti gli Slam, perché ovviamente anche la Usta sta pensando all’ipotesi di spostare gli Us Open. Ma sono tutte discussioni ipotetiche, non sappiamo se si potrà giocare ad agosto o a novembre. Il mio indirizzo è semplice: giocare il più alto numero di tornei possibili. Non solo per preservare punti e Prize money, ma anche lo spettacolo per gli spettatori. Riuscire a chiudere l’annata con tre Slam su quattro e sette Masters 1000 sarebbe importante per decretare il numero 1 di fine anno alle Finals».

Possiamo reggere un anno senza tennis, non di più

I giocatori come hanno reagito?

«Mi hanno seguito molto, dimostrandosi molto uniti. Abbiamo parlato con con il Players council, dove siedono Federer, Nadal e Djokovic, anche loro sono d’accordo nel giocare i tornei più importanti».

Al momento quale calendario hai in mente?

«Ne avremo fatte 50 versioni, cambiano ogni settimana, prima o poi arriveremo a quella definitiva. Ma servono almeno 6-8 settimane di anticipo per consentire ai tornei di organizzarsi. La O2 Arena fra l’altro con noi ha una data bloccata. Tutti gli impianti indoor sono multiuso e in questo momento stanno cercando di riprogrammare i vari eventi, lo stesso discorso vale per Vienna o Basilea. Non sarà banale fare una cosa che abbia senso. Nessuno può dire cosa succederà. Io rimango ottimista sulla possibilità di giocare in estate negli Usa, costruendo poi una stagione sulla terra rossa di quattro settimane dopo il Roland Garros dove sistemare due Masters 1000 (Madrid e Roma, ndr). Il mio obiettivo è giocare più tornei possibile nelle settimane che avremo a disposizione, arrivando alle Finals di Londra dopo aver salvato tre Slam e 7 master 1000. Quindi l’80 per cento dei punti. Stiamo pensando a riprogrammare anche tutti gli altri tornei, Challenger compresi. Stiamo collaborando molto con Wta, ma nessuno ha la bacchetta magica».

Quanto può resistere senza giocare il tennis?

«Se salteranno gli Us Open, le difficoltà cresceranno in maniera esponenziale. Possiamo reggere un anno senza tennis? Sì. Due o tre anni? No. Siamo uno sport solido, ma rinunciare alle Atp Finals comporterebbe un serio problema economico. L’Atp dipende anche dai tornei, e i tornei hanno tre voci di entrate: biglietteria, che quest’anno soffrirà tantissimo; diritti tv, che forse a porte chiuse in parte si salverebbero, e sponsor, con cui stiamo rinegoziando perché al momento non abbiamo un prodotto da offrire. Non possiamo nascondercelo, sarà un anno terrificante. Ma possiamo ripartire bene».

Non escludo “tornei regionali”

Organizzare tornei ‘regionali’ è una possibilità?

«Se avremo problemi di mobilità, non lo escludo. Un Masters 1000 sposta due o tremila persone, oggi non saremmo in grado di garantirne la sicurezza. Il tennis è lo sport più globalizzato che c’è, non siamo come il calcio che si può giocare in una sola nazione. Potremmo garantire la sicurezza di tutti? Oggi no. Ma non dipende da noi. Non vogliamo diventare uno sport regionale, sarebbe un passo indietro. Ma alla fine la nostra missione è mettere un sorriso sul volto di chi sta a casa, oltre che dare ai tennisti l’opportunità di giocare, quindi meglio così che niente».

E spostare indoor tornei come Roma?

«Ancora non siamo a questo punto. A un certo punto bisognerà decidere un calendario definitivo, e teniamo conto che le arene indoor sono multiuso, quindi hanno date bloccate, a partire dalla O2 Arena. Non escludo quindi di giocare a novembre e dicembre, ma assegnare punti a tornei dopo le Finals, che decretano il n.1 del mondo, sarebbe un problema».

Se la O2 Arena non fosse disponibile è immaginabile uno sbarco anticipato delle Finals a Torino?

«Ci sono contratti da rispettare, e non siamo ancora a questo punto. Ma nel caso, se qualcuno si offrisse di ospitarci, perché no? A quel punto contempleremo ogni possibilità».

I tornei virtuali ti piacciono?

«Non possono sostituire il tennis vero, e Moto Gp e F.1 si adattano meglio agli esport, ma sono una bella iniziativa per dare comunque un contenuto al pubblico in questo periodo di emergenza, considerando anche che parte del montepremi andrà ai giocatori che hanno dovuto sospendere l’attività».

Anche se non gioca l’Atp Cup Federer va solo ringraziato

State pensando ad un sostegno economico per i tennisti?

«Sì, a partire dal basso, sia per i tornei sia per i giocatori. Adesso non avrebbe senso sostenere i top-50 o i tornei dello Slam, quindi pensiamo alla fascia fra 200 e 500. Senza dimenticare che l’Atp ha obblighi anche verso i propri dipendenti, dagli arbitri ai fisioterapisti».

Unificare Atp Cup e Coppa Davis è un tuo obiettivo?

«Forse un unico evento sarebbe la soluzione migliore. Le settimane in calendario sono 52, nessuno può farci nulla, e mediamente i giocatori ne giocano fra 22 e 18, a seconda della classifica. E’ una questione matematica. Io, lo sapete, sono molto affezionato alla Coppa Davis, a ciò che rappresenta, alla tradizione del nostro sport, ma ora abbiamo problemi più grandi. A me inoltre piace l’idea di un evento molto forte a inizio anno, seguito da una settimana o due o poi dagli Australian Open, e l’Atp Cup è stata un successo, un bellissimo evento».

Federer ti ha fatto il dispetto di non giocarla…

«Gli ho parlato, anche prima di essere eletto, ricordandogli i nostri match di 17 anni fa. Io a 30 anni ero cotto, e adesso faccio fatica qualche volta ad alzarmi dal letto, lui resiste a 39, da fenomeno qual è. Da ex giocatore so cosa significa resistere venti anni sul Tour: è durissima. Roger lo vorremmo tutti in campo, ovunque e per sempre, la verità è che dobbiamo solo ringraziarlo perché ancora gioca a tennis».

Come vedi il futuro oltre il coronavirus?

«Il tennis ha un potenziale enorme, ma è estremamente frammentato. Poteri diversi, regole diverse. Quando mi sono insediato ho detto a Wta, Itf e Grand Slam che possiamo scegliere: o continuare a lottare per le briciole, o conquistare tutto un mondo. Continuare a litigare sulle briciole. Il tennis ha solo l’1,2% dei diritti televisivi dello sport, ma è fra i top-5 per numero dei fan. In passato, con la programmazione lineare, il fatto che non si sa mai quando le partite iniziano, quando finiscono, e fino al giorno prima neanche chi gioca, era un disastro per i palinsesti. Ma oggi le cose stanno cambiando, stiamo entrando nell’era OTT, che prevede una fruizione personalizzata. Chiedere ad un appassionato di sottoscrivere 4-5 abbonamenti per vedere tutto tennis – Master 1000, Coppa Davis, Grand Slam, tornei Atp e Wta – è contro ogni logica commerciale. Io penso a spotify, che ha salvato la musica mettendo tutti insieme in un mondo ancora più frammentato di quello del tennis. I nostri competitor oggi non sono solo il basket o il calcio, ma tutte le piattaforme di intrattenimento. Chi si siede davanti alla tv può scegliere fra vedere una serie tv, una partita di calcio, o il tennis. Possiamo convincerlo che il tennis è uno sport bellissimo, che offre spettacoli straordinari come la finale di Wimbledon l’anno scorso, ma dobbiamo farlo tutti insieme, senza divisioni. Sarà facile? No. Questa crisi può facilitare il processo, diventare una opportunità. Oppure distruggere tutto».