Di Federico Ferrero   Devo dirvi la verità: non capita visita a un torneo senza l’appassionato che si avvicini e, tra una chiacchiera e l’altra, mi faccia quella domanda. «Ma ti piace commentare le donne?». Ho lavorato per qualche anno sulla risposta (non al servizio, quella è una guerra persa) e posso affermare con un certo margine di sicurezza che fino a due-tre anni fa avrei confessato, senza tanti fronzoli, di no. Un ‘no’ che conteneva diverse considerazioni: la qualità del tennis maschile è indubitabilmente superiore (non dico che Albert Ramos dia più spettacolo di Serena Williams, ma Roger e Rafa…), l’appassionato medio considera tennis solo quello giocato in calzoncini da eroi nerboruti e, ammettiamolo, qualche volta le ragazze ci hanno messo del loro per farsi considerare una divisione minore dello stesso sport. Col tempo ho imparato ad apprezzarle, le donne del tennis. A conoscerle, prima di tutto. Per conoscerle bisogna guardarle e imparare come giocano, cosa sanno fare e cosa no: ed è più interessante di quanto non possa sembrare scoprire i difetti nel rovescio di Samantha Stosur o quello che non funziona nel gioco di volo di Sharapova e Venus Williams. Come i loro punti di forza, il loro modo di ragionare e di reagire in campo, che non è il nostro (quello degli uomini, intendo). In realtà il tennis femminile è un mondo complementare al tennis maschile ma spesso incompatibile. Per certi versi è una realtà a parte: ci sono tennisti che sputano per terra mentre giocano. Che tirano su col naso, si smutandano tra un punto e l’altro: ecco, un’evoluzione non propriamente virtuosa dei gesti bianchi del primo dopoguerra. Le donne – adesso mi citerete Bethanie Mattek Sands, ma le cellule impazzite esistono da sempre in natura – conservano una buona rappresentanza della grazia delle dive d’antan.   Per leggere il resto dell’articolo, acquistate la rivista TENNISBEST Magazine attualmente in edicola
 
Devo dirvi la verità: non capita visita a un torneo senza l’appassionato che si avvicini e, tra una chiacchiera e l’altra, mi faccia quella domanda. «Ma ti piace commentare le donne?». Ho lavorato per qualche anno sulla risposta (non al servizio, quella è una guerra persa) e posso affermare con un certo margine di sicurezza che fino a due-tre anni fa avrei confessato, senza tanti fronzoli, di no. Un ‘no’ che conteneva diverse considerazioni: la qualità del tennis maschile è indubitabilmente superiore (non dico che Albert Ramos dia più spettacolo di Serena Williams, ma Roger e Rafa…), l’appassionato medio considera tennis solo quello giocato in calzoncini da eroi nerboruti e, ammettiamolo, qualche volta le ragazze ci hanno messo del loro per farsi considerare una divisione minore dello stesso sport. Col tempo ho imparato ad apprezzarle, le donne del tennis. A conoscerle, prima di tutto. Per conoscerle bisogna guardarle e imparare come giocano, cosa sanno fare e cosa no: ed è più interessante di quanto non possa sembrare scoprire i difetti nel rovescio di Samantha Stosur o quello che non funziona nel gioco di volo di Sharapova e Venus Williams. Come i loro punti di forza, il loro modo di ragionare e di reagire in campo, che non è il nostro (quello degli uomini, intendo).
In realtà il tennis femminile è un mondo complementare al tennis maschile ma spesso incompatibile. Per certi versi è una realtà a parte: ci sono tennisti che sputano per terra mentre giocano. Che tirano su col naso, si smutandano tra un punto e l’altro: ecco, un’evoluzione non propriamente virtuosa dei gesti bianchi del primo dopoguerra. Le donne – adesso mi citerete Bethanie Mattek Sands, ma le cellule impazzite esistono da sempre in natura – conservano una buona rappresentanza della grazia delle dive d’antan.
 
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