Steve Johnson è il nome nuovo del tennis americano. Sfiderà Nishikori per un posto agli ottavi dell’Australian Open, ed è già sicuro di diventare numero due degli States. Proprio lui che fino al 2012 frequentava il college, poi ha iniziato a fare sul serio, e ora sogna in grande. "Voglio la seconda settimana degli Slam".

Di Marco Caldara – 22 gennaio 2015



I traguardi raggiunti dai suoi idoli Pete Sampras e Andre Agassi rimarranno sempre un miraggio, ma passo dopo passo Steve Johnson si sta ritagliando un ruolo sempre più importante. Col suo tennis un po’ rudimentale, gran servizio e drittone esplosivo, è diventato in poco tempo uno dei nomi di punta degli Stati Uniti, e l’ha confermato anche all’Australian Open. Lontano dalla luce dei riflettori è andato a prendersi un terzo turno tutt’altro che banale, giocando due ottimi match sui campi secondari, senza grande pubblico. Per molti sarebbe quasi umiliante, lui invece ne è ben contento. “Mi piace volare lontano dai radar – ammette.  Non voglio essere il ragazzo da copertina, ma far parlare il mio tennis in campo”. Gliel’ha insegnato papà Steve, maestro di tennis che gli mise in mano la prima racchetta quando camminava appena, poi è stato il suo coach per molti anni. “Tutto ciò che so lo devo a lui. I principali ricordi della mia infanzia sono di noi due fuori casa a colpire una palla dopo l’altra. È stato veramente fantastico, non cambierei una virgola di quegli anni”. Il suo amore per il tennis, unito all’attenzione per l’istruzione imparata da mamma Michelle, professoressa di matematica, l’hanno portato alla University of Southern California, dove è diventato il più vincente della storia del college tennis a stelle e strisce, superando anche i record di John Isner. Con la casacca dei Trojans ha vinto quattro campionati NCAA e due titoli individuali, poi la grande estate del 2012 – impreziosita dalla vittoria al Challenger di Aptos e il terzo turno allo Us Open – l’ha spinto ad accantonare momentaneamente gli studi per provarci sul serio col professionismo, senza lasciar passare ulteriore tempo. “Ma appena smetterò col tennis tornerò alla UCL a prendermi la laurea”. Nel frattempo, la scelta si è rivelata azzeccatissima. Steve è diventato un professionista a tutti gli effetti, iniziando a lavorare solo in funzione dei tornei del circuito. “Avevo bisogno di essere pronto il più possibile dal punto di vista fisico, c'è molta differenza fra giocare il campionato NCAA e i tornei del circuito ATP”.
 
COPPA DAVIS IN VISTA?
In effetti, all’inizio qualche problemino l’ha incontrato. Abituato a stravincere a livello universitario, ogni sconfitta nel circuito rappresentava un piccolo dramma. “Le accusavo tantissimo, mi buttavo giù di morale e faticavo a rialzarmi. Ora invece ho imparato che da ogni match perso può nascere un’opportunità. Le sconfitte servono per crescere e migliorare. Per me è stato un cambiamento molto importante”. Eppure, a giudicare dai risultati non ha fatto molta fatica ad ambientarsi. Nella prima vera stagione da ‘pro’ ha trascorso un mese nei top 100, e da quando ci è entrato stabilmente nel marzo del 2014 (grazie alla semifinale a Delray Beach, la prima in carriera) non si è più fermato. Gradino dopo gradino si è arrampicato fino alla 37esima posizione, e con i 90 punti già raccolti a Melbourne ne scalerà ancora una manciata, scalzando Sam Querrey dal ruolo di numero due d’America. Un risultato importante per molti aspetti, Coppa Davis su tutti. Nella maggioranza dei Paesi uno come lui avrebbe già esordito da un pezzo, ma negli States due posti sono occupati dai gemelli Bryan, e ‘Stevie’ è sempre rimasto tagliato fuori. Chissà che per il primo turno di marzo, in casa con la Gran Bretagna, capitan Jim Courier non ci faccia un pensierino. Per lui che è cresciuto giocando a squadre, e ha sempre lavorato duro per arrivare in alto, sarebbe un traguardo preziosissimo, meritato al 100%. Non pago del grande 2014, con mezzo milione di dollari incassati e tre top 15 messi al tappeto, lo scorso novembre il californiano ha deciso di cercare una nuova svolta chiudendo aiuto al coach giovane olandese Peter Lucassen, conosciuto ai tempi del college. “Ho lavorato tanto, sia in palestra per cercare di diventare più potente e reattivo, sia in campo, per migliorare la risposta e soprattutto il rovescio. Ho una buona confidenza con lo slice, ma ho sempre faticato parecchio a giocarlo coperto, specialmente in lungolinea o quando l’avversario mi attaccava in quell’angolo. Diciamo che il passante di rovescio non è mai stato il mio forte. In più, ci siamo concentrati per provare a rendere il mio tennis più aggressivo, così da prendere di più l’iniziativa”.
 
“NIENTE OBIETTIVI, PRESSIONE INUTILE”
I risultati della preparazione si sono visti prima ad Auckland, dove ha raggiunto i quarti di finale, e quindi nelle due facili vittorie australiane, col qualificato britannico Kyle Edmund e col colombiano Santiago Giraldo, trentesima testa di serie. Uno che, a dispetto della provenienza, sul veloce ci sa giocare eccome. “Una grande giornata”, ha dichiarato dopo il successo, ma senza eccessivo entusiasmo. In fondo, anche se la classifica lascia sempre il tempo che trova, da numero 38 ha battuto il numero 32. Poca cosa per uno che punta molto più in alto. “Non mi piace parlare di numeri, non c’è una posizione intorno alla quale vorrei essere a fine anno. Serve solo a mettersi da soli della pressione inutile. Io penso a lavorare duro per migliorare ogni giorno, risultati e classifica sono una conseguenza. L’obiettivo è arrivare a fine anno senza rimpianti, solo allora sarà stata una grande stagione. Sicuramente, mi piacerebbe iniziare a giungere in fondo nei tornei del circuito ATP, e magari giocarmi l’accesso alla seconda settimana negli Slam”. La prima possibilità l’ha mancata allo Us Open del 2012, battuto in tre set da Gasquet al terzo round, la seconda ce l’avrà sabato, contro il numero 5 del mondo Kei Nishikori. Ci ha perso 6-4 7-5 a Brisbane un paio di settimane fa, al termine di un match molto equilibrato, e a Melbourne ha ancora più stimoli per far bene. Il giapponese ha sofferto al secondo turno contro Dodig, e sa che non avrà vita facile. “Johnson è forte: serve veramente bene, ha un ottimo diritto e viene spesso a rete. Non è facile affrontarlo. Contro di lui dovrò stare molto attento a un paio di aspetti del mio tennis”. Nessuno gli ha chiesto quali fossero, ma per Kei è stato meglio così. Questo Johnson non ha bisogno di aiuti. Spaventa già da solo.