Non si ferma più la magia di Juan Martin Del Potro: nella notte dell'Arthur Ashe punisce Roger Federer e ritrova una semifinale Slam dopo quattro anni. Gioca benissimo, approfitta della lentezza dello svizzero e mostra una sangue freddo da fenomeno. Grazie a lui, tutta l'America Latina si stringe in un abbraccio collettivo.

Tutti insieme a ballare, una danza tribale e collettiva. Lassù in cima, nella piccionaia dell'Arthur Ashe, dove i biglietti costano un po' meno. Gli argentini di ogni fede calcistica, compresi gli acerrimi rivali di Boca Juniors e River Plate, esultavano per l'ennesimo miracolo di Juan Martin Del Potro. Lui tifa per il Boca, ma è stato capace – ancora una volta – di riunire l'Argentina sportiva grazie a un'impresa tennistica. È un paradosso, ma nella notte dell'Arthur Ashe non c'è stata l'epica, la poetica, la narrativa di 48 ore prima contro Dominic Thiem. Ma l'impresa contro Roger Federer è notevole, spettacolare. Il suo fisico ha smaltito antibiotici e medicinali che gli avevano permesso di restare in piedi lunedì sera e ci ha permesso di vedere uno splendido Del Potro, quasi perfetto nel togliere a King Roger l'illusione di completare tre quarti di Slam come gli era accaduto nel 2004, 2006 e 2007, una vita (tennistica) fa. “Ho fatto tutto bene, in particolare hanno funzionato alla grande il servizio e il dritto – ha detto Del Potro, che non si è dimenticato di ringraziare la gente – il vostro sostegno mi rende felice, mi date la forza e lo stimolo per tirare il dritto ancora più forte”. Era quasi scoccata la mezzanotte quando il tabellone dell'Arthur Ashe ha fissato il punteggio sul 7-5 3-6 7-6 6-4 per Del Potro, che dunque cercherà un clamoroso deja-vu di otto anni fa, quando batté Nadal in semifinale e Federer in finale. Stavolta lo svizzero è caduto nei quarti, mentre venerdì notte sfiderà Rafa in una sfida tutta latina, la quattordicesima (il bilancio dice 8-5 per Rafa).

LE FRAGILITA' DI ROGER E IL ROVESCIO DI PALITO
Delpo veniva da una stagione così così, senza brividi né vibrazioni. Immergendosi nelle sue partite a New York, si percepisce quanto abbia bisogno di un certo tipo di ambiente per rendere al massimo. Allo Us Open accade, si crea un'alchimia che gli consente di mostrare quello che fa fare, a partire da un dritto supersonico. Il suo primo maestro, il “Negro” Gomez, è convinto che prima o poi diventerà numero 1 del mondo. Non sappiamo se la profezia si avvererà, ma Delpo ha dimostrato di poterci giocare, da numero 1. Con eleganza, Federer ha minimizzato – se non addirittura nascosto – i problemi alla schiena e una condizione non ottimale, ma è evidente che non abbia giocato al meglio. I simboli della sua sconfitta sono un paio di erroracci in momenti delicati. Ad esempio, il terzo setpoint nel tie-break del terzo set (quello sul 7-6, ne ha avuti quattro), quando si è presentato a rete e ha scelto di far rimbalzare un passantino in slice di Del Potro, sparando lungo il rovescio. Non dove sbagliare, non in quel momento. Qualche minuto dopo, un goffo serve and volley avrebbe servito a Del Potro il terzo set. Nell'ultimo game, sul 30-30, si è presentato a rete e si è avventato sulla volèe di dritto con il consueto piglio felino. Ma non era scattante come al solito, vittima di un malanno segreto che ne ha inceppato il motore. La volèe è finita a metri dal campo. Del Potro, da vero campione, non si è fatto pregare e ha chiuso con un super dritto in lungolinea. Che Federer non stesse troppo bene si è visto dall'abbraccio, sereno, quasi rassegnato. Ma nell'agenda di Del Potro c'è una lista troppo grande di sgarri commessi dal destino. La schiena rigida di Federer è un indennizzo piccolo piccolo, se paragonato alle sfortune vissute negli anni. Sul piano fisico è parso nuovamente al top, mentre su quello tecnico ha mostrato qualcosa di interessante con il rovescio. Non è più potente come nel pre-infortunio, ma non si rifugia più nello slice. Riesce a tenere un discreto ritmo nel dialogo da fondocampo e sa tirarsi fuori dai guai, se attaccato. Sul 2-2 al quarto, ha firmato il break con una notevole risposta col fondamentale debole. Più che migliorato, sembra semplicemente più sicuro.

DEL POTRO COMINCIA A CREDERCI
Ma Juan Martin Del Potro è un tennista speciale per un'altra ragione: una mente suprema, la capacità di vincere le partite più complicate, saper soffrire e venirne fuori con le sue armi. La gente capisce di essere una munizione del suo arsenale e piomba in suo soccorso. “Olè, olè, olè, olèèèè Delpooo Delpooo” è una filastrocca che abbiamo sentito ai quattro angoli del globo, ma che significa molto di più. È benzina vitale, adrenalina pura, doping psicologico e quindi legale. Lui ne attinge a pieni polmoni e scaraventa il suo dritto a velocità supersoniche. Il piano di Federer era chiaro: accorciare i punti e impedire all'argentino di tirare il dritto. Nei primi otto punti, ha tirato tre smorzate. Da parte sua, Del Potro cercava di sfondare appena possibile. E lo faceva a fine primo set, quando trovava il break decisivo con un passante dei suoi, prima di chiudere 7-5. Nel secondo, Federer trovava un prezioso break al quarto game e lo portava avanti fino alla fine. La partita si decideva nel terzo: Delpo saliva 3-0 (grave doppio fallo di Federer sulla palla break), aveva addirittura una palla del 4-0, ma lo svizzero produceva il massimo sforzo in una partita giocata a ritmi altissimi, sia nello scambio che nel ritmo tra un punto e l'altro. Delpo pativa la fretta altrui e, con un doppio fallo, consentiva a Federer di ricucire il distacco. Si arrivava al tie-break, dove Roger si trovava per tre volte avanti di un minibreak fino a condurre 6-4. Una risposta sulla riga rimetteva tutto in equlibrio, ma sul 6-6 arrivava un altro doppio fallo. Sul 7-6, Federer commetteva il papocchio che gli è costato una bella fetta di partita. Nel corpo a corpo, l'argentino ha mostrato di avere qualcosa di più e ha intascato il set al 18esimo punto. Nel quarto, il break decisivo arrivava sul 2-2 ed era un lento planare verso un trionfo che Del Potro ha accolto con maturità, alzando le braccia al cielo e nulla più. Non si è buttato per terra come otto anni fa, non si è commosso come due giorni prima. Comincia a crederci, Palito. È consapevole della sua forza, della magia che sta accompagnando ogni suo gesto. I miracoli li faceva qualcun altro, circa 2.000 anni fa, ma non ci risulta che nessuno – tra gli esseri umani – abbia spinto ad abbracciarsi un bostero e un millonario. Lui c'è riuscito.

US OPEN 2017- Quarti di Finale Uomini
Juan Martin Del Potro (ARG) b. Roger Federer (SUI) 7-5 3-6 7-6 6-4