Sono la più grande potenza tennistica, tutti li prendono ad esempio…eppure il futuro del tennis spagnolo sembra tutt’altro che roseo. Vi spieghiamo il perché.
Javier Marti e Lara Arruabarrena Vecino,
due tra le migliori speranze del tennis spagnolo
Di Riccardo Bisti – 26 settembre 2012
Il grido di dolore lo ha lanciato Emilio Sanchez sull'ultimo numero di TENNISBEST Magazine. In Spagna hanno aumentato l’IVA del 161% per club, palestre ed eventi sportivi. Questo fattore, oltre a una cultura molto simile a quella italiana (dove lo sport conta meno di zero nella formazione scolastica), potrebbe avere un effetto devastante sullo sport spagnolo, tennis compreso. E allora persino la Spagna, una delle pietre miliari del nostro sport, rischia di entrare in crisi. Gli effetti si vedono già a livello organizzativo: nel 2012, i tornei sono calati del 30%. Conseguenza? Meno allenamenti, meno competizioni, livello più basso. “Il risultato finale sara devastante – ha scritto Sanchez – mi duole dirlo, ma lo vedremo presto”. Quella che è stata venduta come “Scuola Spagnola”, in realtà, non esiste. Il mito spagnolo è nato grazie all’iniziativa di alcuni privati che hanno inculcato la giusta mentalità ai loro allievi. Da Barcellona a Valencia, passando per Madrid, è pieno di posti dove allenarsi e fare le cose per bene. Lo sanno bene Sara Errani, Flavia Pennetta e Fabio Fognini. Ma se le tasse stritoleranno i club, le possibilità diminueranno e le conseguenze potrebbero essere molto pesanti. Attualmente, la Spagna sta vivendo un periodo straordinario. Quella contro la Repubblica Ceca sarà la nona finale di Coppa Davis nelle ultime 14 edizioni. In tempi di pura globalizzazione, è un dominio ancor più significativo di australiani e americani, che fino a una cinquantina d’anni fa si spartivano insalatiere come noccioline. Il problema è che i top-players spagnoli non sono più giovanissimi. Il più giovane è proprio Nadal, 26 anni. E Rafa, il più grande iberico di sempre, ha i problemi che conosciamo. E poi? Ferrer ha 30 anni, Almagro 27, Verdasco 29, Granollers 26, Lopez 31. Andujar 26…La Spagna ha 13 giocatori tra i top 100, ma tra questi i più giovani sono Albert Ramos (n. 48 ATP) e Roberto Bautista Agut (n. 82), entrambi 24enni. L’età media dei top 100 spagnoli è superiore ai 28 anni. E più indietro? L’unico davvero futuribile sembra Javier Marti, classe 1992, numero 198 ATP. Più indietro ci sono Jordi Samper Montana, Roberto Carballes Baena (l’unico under 20) e Carlos Gomez Herrera. Tutta gente ancora impelagata nei tornei futures. Magari diventeranno fortissimi, ma magari no. Qualche anno fa si parlava un gran bene dell’alicantino Carlos Boluda-Purkiss. Dicevano che fosse il “Nuovo Nadal”, tanto che il nostro direttore andò a trovarlo ad Alicante. Oggi è numero 1181 ATP dopo essere stato al massimo n. 557. E il 22 gennaio compirà 20 anni.
Dopo Australia e Stati Uniti (che – come detto – lo hanno fatto in altri tempi), la Spagna è l’unico paese ad aver prodotto tre numeri 1 in quindici anni. Il primo è stato Carlos Moya, poi è arrivato Juan Carlos Ferrero (prossimo al ritiro). Adesso hanno Nadal, che insieme a una serie di validissimi “vassalli”, copre le magagne. Oltre alla qualità, gli spagnoli, hanno sempre avuto la quantità. Senza scomodare Emilio Sanchez e Sergi Bruguera, negli anni si sono succeduti i vari Costa (Carlos e Albert), Berasategui, Corretja, Mantilla, Almagro, Verdasco, Robredo e altri ancora. 13-14 spagnoli tra i primi 100 sono la normalità. Ma da dietro sono in pochi a spingere. La ragione risiede nella scarsa lungimiranza di dirigenti e politici, convinti che si potesse vivere eternamente di rendita. Ma il tennis è sport complicato, dove non si inventa nulla. Rafa Nadal te lo manda il cielo (anche se poi è diventato grande grazie ai metodi di Zio Toni…), ma per il resto bisogna programmare. La Spagna ha strutture adeguate e un clima spettacolare, ma il tennis continua ad essere uno sport molto caro. Ci sono i viaggi, gli alloggi, spese che non tutti possono permettere. E molti non possono nemmeno iniziare. L’altro problema, sottolineato da Sanchez, è la diminuzione dei tornei in Spagna. E non si parla solo del torneo WTA di Marbella, morto dopo poche edizioni, ma di tornei giovanili e di categoria. Senza contare i futures, gradino più basso del professionismo, che consentono di fare i primi punti ATP senza spendere troppi soldi. Qualcuno pensa che la federtennis spagnola (RFET) dovrebbe intervenire. In Spagna, qualcuno dice che dovrebbero copiare le realtà come Francia, Stati Uniti e Turchia. Nemmeno l'Italia è messa male, essendo il paese che organizza più challenger (anche se sono diminuiti del 40% in due anni) e una trentina di futures.
Ma in Spagna, a differenza che in Italia, il raggio di luce arriva dai coach. Gli allenatori sono molto ben considerati nel mondo. Gli esempi sarebbero a decine: noi conosciamo Gabriel Urpi, Josè Perlas, Pablo Lozano e Oscar Serrano (perché hanno o hanno avuto a che fare con tennisti italiani), ma ce ne sono molti altri. Tra loro c’è il caso limite di Galo Blanco, ex pallettaro che sta aiutando a crescere il bombardiere Milos Raonic. E diverse federazioni hanno proposto accordi e collaborazioni agli allenatori spagnoli (Urpi collaborerà con la Fed Cup francese). Se resisteranno alle sirene di federazioni e giocatori stranieri, i coach spagnoli sono la garanzia di continuità. Ma i nomi del futuro immediato chi sono? Javier Marti è il primo della lista, anche perché stava per battere Verdasco a San Paolo. E l’anno scorso, a Valencia, ha scippato un set a Tsonga. Tra i più giovani, l’unico che ha una buona classifica ITF è Pol Toledo, mentre Roberto Carballers (semifinalista all’Australian Open junior) è il più giovane spagnolo ad aver vinto un future…dopo Rafa Nadal. La sensazione, tuttavia, è che in futuro ci sarà maggiore equilibrio tra uomini e donne. Garbine Muguruza è tra le top 100 a 18 anni, “Tita” Torro ha vinto 10 tornei ITF e ha raccolto una serie positiva di 36 partite, mentre la 20enne Lara Arruabarrena ha già vinto un titolo WTA a Bogotà. Nomi interessanti, certo…ma l’impressione è che l’epoca dei sogni stia per finire. E che il risveglio sarà tutt’altro che dolce.
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