Due giornate caldissime hanno messo a dura prova la tenuta dei giocatori. Nessun ritiro, ma tanta sofferenza e spettacolo scadente. Disagi anche per il pubblico. Il dibattito è acceso: quali sono le condizioni limite per fermare il gioco? Tre anni fa, la heat policy è stata resa ancora più estrema.

A Melbourne fa caldo. Molto caldo. Nelle ore centrali, le condizioni sono davvero estreme. Giocatori a torso nudo, sguardi persi nel vuoto, asciugamani pieni di ghiaccio intorno al collo. E la disperata ricerca di un angolo d'ombra, manco fosse un'oasi in mezzo al deserto. Dopo le temperature record registrate durante il Sydney International, l'ondata di calore è arrivata anche a Melbourne, con temperature pericolosamente intorno ai 40 gradi. “Non mi aspettavo di giocare questo tipo di match – ha detto Del Potro dopo il successo su Khachanov al secondo turno – avrei preferito guardare la TV o starmene in spiaggia, bevendomi una birra”. Le temperature torride sono una costante a Melbourne, tanto da giustificare una “heat policy” che interrompe i match se le condizioni diventano inaccettabili. I match non sono stati interrotti né giovedì, né venerdì, perché la temperatura non ha varcato i limiti previsti dalle norme. Tuttavia, i giocatori hanno sofferto ugualmente. Prendete Gael Monfils: per buona metà del match contro Novak Djokovic ha barcollato per il campo, piegandosi spesso per riprendere fiato e rinunciando a rispondere ad alcuni servizi per rifugiarsi il prima possibile al cambio di campo. “Sono stordito, per circa 40 minuti sono stato vittima di un colpo di calore – ha detto il francese – penso che gli ufficiali di gara dovrebbero fare qualcosa, magari mettere cinque minuti di pausa tra un set e l'altro. Ci vorrebbe qualche piccolo aggiustamento”. La pensa così anche Novak Djokovic: a suo dire, ci sono giorni in cui non si dovrebbe giocare. “Bisognerebbe aspettare un abbassamento delle temperature, anche se capisco che c'è il fattore biglietti: senza tennis, molta gente si arrabbierebbe”. Rimedi? Sul campo, quelli descritti qualche riga fa. Per il resto, bagni ghiacciati e alimentazione precisa e accurata. C'è poi chi fa scelte diverse, per non dire originali. Su-Wei Hsieh, ottima vincitrice su Garbine Muguruza, si sottopone ad agopuntura. “Non è il massimo, ma aiuta molto. Sono importanti anche i massaggi e una corretta alimentazione”.

I VANTAGGI DI FEDERER
Nonostante il gran caldo, in questi due giorni nessuno si è ritirato. D'altra parte, i tennisti – come tutti gli sportivi – sono condizionati a superare la barriera del dolore. Lo stesso Monfils ha detto di non aver mai pensato di ritirarsi. Ma c'è chi si è stufato di queste discussioni. “Ci sono troppe chiacchiere sul caldo – ha detto Kane Cornes, leggenda del football australiano – quando giocava, Lleyton Hewitt chiedeva di giocare nel pomeriggio perché per lui era un vantaggio. Si gioca l'Australian Open, si sa in anticipo che il caldo sarà un fattore. Vengono fuori i duri, e questo mi piace. I giocatori in buona forma fisica avranno un vantaggio. Emerge chi si è allenato meglio”. Ha espresso lo stesso pensiero, sia pure con più diplomazia, Roger Federer. “In Australia il caldo può essere problematico, ma finché non succede niente va tutto bene”. Lo svizzero riflette sul fatto che la heat policy potrebbe creare una disparità di trattamento: chi gioca sui campi principali, sotto il tetto, sarebbe avvantaggiato. “E davvero sarebbe una buona cosa?”. Per adesso il problema non lo riguarda: per il terzo match consecutivo, lo hanno collocato in sessione serale. Indubbiamente un vantaggio rispetto agli avversari: qualcuno ha storto il naso per il presunto trattamento di favore. Il problema rimane, anche se sabato l'ondata dovrebbe calmarsi: secondo le previsioni, la massima dovrebbe essere inferiore ai 30 gradi.

LA HEAT POLICY
Il problema, in questi casi, sta nella diversa percezione. La heat policy è stata introdotta nel 1998 ed è stata oggetto di una serie di modifiche, le ultime nel 2015. Dal 2003 al 2014, il gioco veniva fermato quando la temperatura superava i 35 gradi e il WBGT (Wet-bulb globe temperature) superava i 28. Il WBGT è un algoritmo che calcola temperatura, umidità, vento e luce del sole. Nel 2015 il limite è stato alzato a 40 gradi e il WBGT a 32,5. L'obiettivo era evitare troppe pause durante un match. Con le vecchie regole, probabilmente, il gioco sarebbe stato interrotto sia giovedì che venerdì. Ovviamente, il caldo è al centro del dibattito anche ai piani alti. Gli organizzatori hanno difeso le loro decisioni, spiegando che negli ultimi due giorni siamo arrivati molto vicino all'applicazione della regola. “Però l'Australian Open è un evento all'aperto – ha detto il direttore Craig Tiley – il nostro obiettivo è giocare il più possibile all'aperto, pur tenendo conto della salute e del benessere dei giocatori”. Qualcuno è d'accordo, qualcun altro no. Di certo, negli orari più caldi non si vede un grande spettacolo. I problemi avuti da Cornet e Martic (giramento di testa e vesciche) sono la punta di un iceberg fatto di partite non troppo spettacolari. Viene da domandarsi se la regola vada bene così o debba essere rivista, riportando i parametri ai valori precedenti, o magari dando discrezionalità ai giudici di sedia. Show must go on, cantavano i Queen. Vero, ma salute e benessere di atleti e spettatori dovrebbero avere la priorità.