Ventitré anni, un braccio che gli arriva solo al gomito da quando è nato e un punto ATP che sembrerebbe una sciocchezza e invece rappresenta un primato. Alex Hunt, neozelandese, è infatti il primo disabile a essere incluso nel ranking del tennis mondiale. Il mezzo col quale si è scritto un pezzettino di storia si chiama Christopher Cajigan, un 19enne proveniente dalle isole Marianne, stracciato da Hunt in un Future da 15mila dollari nel Guam, una perla incastonata nell’Oceano Pacifico: un doppio cappotto che ha regalato ad Alex il simbolico traguardo. Nonostante l’handicap, Alex è ottimista, solare, al punto da definirsi perfino fortunato, nonostante nelle sue condizioni la maggior parte delle persone non seguirebbero alla lettera il secondo comandamento. Nato e cresciuto in Nuova Zelanda, in una fattoria dove la sua famiglia allevava pecore (fatto non esattamente inusuale, in un paese dove ce ne sono quasi 30 milioni), è l’ultimo di tre figli maschi e nonostante l’handicap, gli riesce un po’ tutto: gioca a tennis, cricket, sfreccia in moto, aiuta nella fattoria e nelle faccende domestiche. Grazie all’educazione ricevuta e al fatto che nessuno in famiglia lo tratta come un disabile, ha sempre avuto la mente aperta, senza pensare troppo a cosa potesse o non potesse fare. Il tennis rientrava tra le sue passioni e quindi ci ha provato, spinto anche dal fatto che anche i miei genitori e fratelli sono degli appassionati praticanti. In realtà, non ci sono troppe attività che gli sono precluse per via del braccio: «Obiettivamente, anche nel giocare a tennis non trovo enormi difficoltà tecniche. L’unica differenza sostanziale è azzeccare il lancio di palla. Faccio grande fatica col vento, così come la stragrande maggioranza di chi gioca, ma dovendo lanciare la palla con la protesi per me è chiaramente più difficile. Un altro piccolo problema è il cambio di impugnatura dal rovescio al dritto, specialmente in fase di risposta al servizio dove si ha poco tempo. Ho cercato varie soluzioni e, alla fine, ho deciso di adottare la medesima presa per entrambi i colpi. Una soluzione sicuramente più comoda ma anche scorretta dal punto di vista tecnico. Però mi sono adeguato».
MESSAGGIO DI SPERANZA
Se il sogno è giocare contro Federer (ma siamo convinti che in una prossima esibizione di Roger, il desiderio possa anche essere esaudito), l’obiettivo reale è entrare nei primi 500 giocatori del mondo, mentre il traguardo finale sarebbe quello di qualificarsi per il tabellone principale di uno Slam. «Però mio scopo principale è un altro: voglio ispirare i disabili e far capire che tutto è possibile. Se sorretti dal giusto spirito, si può vivere alla grande anche con un handicap». Un messaggio trasmesso alla famiglia di un neonato colpito dalla sua stessa disabilità: «Per me è stato davvero incredibile riuscire a trasmettere una nuova speranza, avergli fatto capire che il loro bambino potrà avere una vita normale anche senza un braccio». Il messaggio è molto più forte se il messaggero è nelle stesse condizioni del destinatario. Dal punto di vista economico, la situazione non è stata così grave perché il governo neozelandese è molto attento ad assistere i disabili, al punto da avergli fornito tutte le protesi di cui aveva bisogno: «Adesso non mi serve più cambiarle perché il mio corpo ha smesso di crescere, quindi non credo di dover cambiare ancora il braccio. A meno che non rompa quello che ho» dice ridendo con grande autoironia. Alex ha provato tante protesi, sempre attento, curioso, perfino eccitato nel provare nuovi marchingegni tecnologici che possano aiutarlo a migliorare la sua condizione. «Anche in questo caso devo ringraziare il mio Paese perché mi ha messo a disposizione un ottimo team di specialisti a Wellington che mi ha costruito la protesi e, al contempo, cercato di sviluppare sempre nuove soluzioni da farmi testare. Chiaramente la tecnologia di oggi aiuta noi disabili: fossi nato cinquant’anni fa, probabilmente mi sarebbe stato precluso quasi tutto quello di cui ora posso godere. Ecco, vedi che sono un tipo fortunato?».