Alejandro Davidovich Fokina poteva giocare per la Russia o la Svezia, Nicola Kuhn per l’Austria, la Germania o la Russia. Invece hanno scelto entrambi la Spagna, e la scorsa settimana hanno mostrato come mai il dopo Nadal preoccupa meno. Il primo ha vinto il titolo juniores di Wimbledon, il secondo uno dei Challenger più prestigiosi.

Uno è nato a Malaga (Spagna), da mamma russa e papà svedese. L’altro, invece, è nato a Innsbruck (Austria), da papà tedesco e mamma russa. Ma la sorte in un caso, e un pizzico di lungimiranza nell’altro, hanno fatto sì che accanto a entrambi i nomi, sui siti ATP e ITF compaia la bandiera spagnola. Un tredici al superenalotto che ha iniziato a restituire le prime vincite nello scorso fine settimana, quando Alejandro Davidovich Fokina è diventato il primo spagnolo a vincere Wimbledon juniores dai tempi di Manuel Orantes, esattamente cinquant’anni fa, mentre Nicola Kuhn – informa BranchStats – è entrato nella top-15 dei più giovani vincitori di tutti i tempi a livello Challenger, conquistando l’appuntamento tedesco di Braunschweig, uno dei più ricchi e prestigiosi dell’intero calendario. Quotidiani, tg e testate specializzate erano impegnate a celebrare Garbine Muguruza (un’altra che poteva difendere colori differenti), ma il fatto che i due talenti abbiano ricevuto meno attenzione di quanta ne avrebbero meritata potrebbe fargli bene in termini di aspettative. Specialmente a Davidovich Fokina, che superando in finale l’argentino Geller ha completato la sua settimana da Dio, riportando in Spagna uno Slam juniores che mancava dal 2001, quando Carlos Cuadrado conquistò il Roland Garros. Proprio l’esempio del connazionale può essere molto significativo, visto che fra i “pro” Cuadrado non è mai entrato nemmeno fra i primi 200, a conferma del fatto che i titoli giovanili non siano garanzia di successo fra i grandi. Basti pensare che nella storia di Wimbledon soltanto quattro campioni juniores si sono ripetuti nel torneo vero e proprio: Borg, Cash, Edberg e Federer, mentre tanti altri sono presto spariti dai radar. La Spagna si augura che non sia quello il caso del biondo di Malaga, classe 1999, che ha anche il passaporto russo ma nessun altro contatto col paese d’origine della madre, difende da sempre i colori della “roja” e si definisce spagnolo senza dubitare un secondo.

NADAL? NO, FEDERER E DJOKOVIC
Quest’anno Alejandro ha giocato solamente quattro tornei junior: ha vinto due appuntanti di grado 1, è arrivato in semifinale al Roland Garros e ha vinto Wimbledon, preparato con due finali in altrettanti Futures sul cemento all’aperto. “Sull’erba – ha detto – mi sono allenato appena due giorni prima del torneo, ma mi sono accorto subito di sentirmi bene. Lo scorso anno scivolavo un sacco, mentre stavolta ha funzionato tutto a dovere. Sui social ho letto un sacco di messaggi che mi dicevano di aver fatto la storia, ma mi sembra si stia un po’ esagerando. Sono solo molto contento di aver vinto il torneo, e anche un po’ shockato, devo ancora realizzare bene ciò che ho fatto”. Per un giovane spagnolo cresciuto nell’epoca di Nadal, il modello sembrerebbe scontato, invece quando gli hanno chiesto a chi si ispirasse… non l’ha nemmeno nominato! “Quando avevo sei anni Federer ha vinto Wimbledon, e io piansi insieme a lui. Oggi mi ispiro di più a Djokovic, al suo gioco, ma sicuramente è stato Federer quello che mi ha spinto di più a giocare a tennis”. Per chi si allena in un resort di lusso a Marbella, e ogni mattina osserva il mare per buona parte dei sessanta chilometri di strada da percorrere, sarebbe facile distrarsi. Invece lui la vede esattamente al contrario, e dice che “in un posto così è più facile godersi ogni allenamento”. Insieme a coach Jorge Aguirre ha lavorato per limare gli alti e bassi tipici dei giovani della sua età, e grazie a una competitività estrema (“odio perdere, con chiunque, a qualsiasi gioco”) è diventato uno dei giovani più interessanti del mondo. Con la Coppa Davis al centro delle ambizioni, come tutti i giovani che poi tendono a dimenticarsene se e quando diventano campioni, e un obiettivo ben chiaro, che confessa senza timore. “Mi piacerebbe arrivare fra i primi 10. Minimo”.

KUHN: MATURO IN CAMPO E FUORI
Lì attorno è piazzato anche il mirino di Nicola Kuhn, che ha un anno in meno del connazionale ma ha scelto di lasciare gli junior dopo la finale al Roland Garros, e i risultati gli hanno subito dato ragione. Mentre i coetanei erano impegnati sull’erba, il biondo allenato da Pedro Caprotta (tornato al suo fianco dopo 5 anni all’accademia di Juan Carlos Ferrero) ha sbancato l’appuntamento di Brauschweig da numero 501 del mondo, partendo dalle qualificazioni e vincendo sette incontri in otto giorni. Nel suo cammino ha sconfitto anche giocatori di ottimo livello come Berlocq, Kovalik e Fucsovics, prima di superare in finale il croato (e a lungo italiano negli anni scorsi) Viktor Galovic, segno che malgrado la carta d’identità dica 17 anni e 3 mesi il livello è già molto importante. Figlio di un ex lottatore internazionale di taekwondo e di una pattinatrice, che sono trasferiti a Torreveja (nella Comunità Valenciana) quando il figlioletto aveva appena tre mesi, Kuhn ha giocato per la Germania fino a 15 anni, spinto a chiedere a papà di acquistargli una racchetta dopo aver visto delle videocassette dei successi di Boris Becker e Steffi Graf. Poi, quando in Spagna hanno annusato l'affare, gli hanno fatto una proposta e lui l'ha accettata cambiando nazionalità, e a Brauschweig ha mostrato ai tedeschi che talento si siano lasciati scappare. “Sono senza parole – ha spiegato -, perché è la miglior settimana della mia vita. Sapevo di avere questo livello e il successo me l’ha dimostrato”. In un colpo solo ha scalato oltre 250 posizioni in classifica, salendo al numero 242. “Puntavo a entrare fra i primi 200, e ci sono vicino. Ora mi piacerebbe vincere un torneo ATP, ma sono ancora lontano. Un obiettivo più realistico possono essere le qualificazioni del prossimo Australian Open”. Se tutto andrà bene diventerà il suo primo Slam fra i grandi, dove ha sempre desiderato di stare. “Se devo essere onesto, mi annoio a parlare con persone della mia età. Preferisco gente più grande. Sono più maturo dei miei coetanei”. E anche più forte. Almeno per ora.