
Ciò che rende ancora più sorprendente la tempistica dei record è il fatto che, rispetto alle prime tre edizioni dello Sparkasse Challenger (2010-2012), la superficie dei campi coperti del Tennis Club Ortisei sia stata sostituita proprio su richiesta dell’ATP, perché il mix fra l’altura e la rapidità del precedente tappeto rendeva gli scambi molto molto rari. Eppure, malgrado il rallentamento dei campi i due nuovi primati sono arrivati ora, e hanno riaperto il dibattito relativo a se sia giusto o meno considerare come record ATP anche quelli fatti registrare nei Challenger. Va detto che ATP e WTA non hanno un proprio libro dei record, ma da quando le statistiche vengono raccolte per tutti gli incontri è diventato semplice conservarle. Tuttavia, a livello di omologazione dei numeri l’ATP si è sempre limitata a considerare solo Slam, Masters 1000, 500 e 250, senza badare ai Challenger. Ad aprire la social-discussione è stato un tweet di James Blake: “Non mi dispiace particolarmente non essere più parte di questo record”, ha scherzato l’ex numero 4 del mondo, condividendo un link a riguardo degli undici ace di Olivetti, e il suo intervento ha stimolato Andy Roddick. In sintesi, il pensiero di A-Rod è che i record ATP non debbano riguardare anche i Challenger, in quanto eventi minori. La sua argomentazione è semplice: dato che i successi ottenuti a livello Challenger non vengono tenuti in considerazione per il bilancio vittorie-sconfitte in carriera, nemmeno tutte le altre statistiche andrebbero considerate. In realtà, la questione è diversa: l’ATP non considera i Challenger per evitare di addentrarsi in un percorso scivoloso, in quanto gli standard imposti per il Tour maggiore garantiscono di avere dati sempre uniformi e precisi, mentre a livello minore le regole sono meno restrittive, e capita anche di trovare campi molto più rapidi degli standard ATP.

In questo senso torna in mente il record “fantasma” di Sam Groth, l’australiano che ha detto addio al tennis allo scorso Australian Open, e che nel 2012 al Challenger coreano di Busan contro il bielorusso Uladzimir Ignatik fece registrare un servizio a 263 km/h, il più veloce di sempre. Malgrado l’ATP ebbe la conferma dalla società che si occupava del rilevamento della velocità (la polacca Flightscope, una delle più presenti nel Tour) che i rilevatori fossero gli stessi utilizzati anche a livello ATP, decise comunque di non omologare il record. Tuttavia, dai due casi recenti emerge una differenza importante rispetto a quello di Groth: la velocità del servizio viene rilevata da delle apparecchiature, e può darsi che dove gli standard sono più permissivi capitino degli errori, mentre il conteggio degli ace non è soggetto ad alcun fattore esterno. Basta armarsi di pazienza e contarli (qui il video integrale di Simon-Sektic, mentre non c’era lo streaming per Olivetti-Sieber). Quindi, anche se la superficie ben più rapida rispetto a quelle che si trovano a livello ATP ha certamente facilitato il compito di Simon e Olivetti, l’ipotesi di un’omologazione dei record non è così remota. Roddick suggerisce le creazione di statistiche relative solamente ai tornei Challenger, ma è corretto ricordare che – pur trattandosi di un circuito secondario – il Challenger Tour fa a tutti gli effetti parte dell’ATP, ergo non sarebbe folle pensare che certi record possano essere estesi da un circuito all’altro. Un tempo era comprensibile un velo di scetticismo, data l’assenza nei Challenger di telecamere e interesse, ma oggi grazie alla tecnologia è diventato tutto molto più semplice, gli standard richiesti sono sempre più alti ed è presente lo streaming praticamente di ogni singolo evento del calendario. Simon 52 ace li ha tirati sul serio, in un evento ATP. Perché il suo non deve essere considerato un record?